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Guida alternativa alla città che detiene ancora oggi il primato di produzione delle maioliche, con una richiesta finale: restaurare l'antico portale della "Maioliche Deruta"
ceramica

Un itinerario alternativo per visitare Deruta muove dal borgo fuori le mura, per proseguire a piedi verso il centro storico.
Dell’origine antica del borgo restano poche tracce che si indovinano su qualche casa a mattoni risparmiata dalle ristrutturazioni edilizie del secondo dopoguerra, ma se si è fortunati, o se si passa di là il 26 luglio, si troverà aperta la piccola chiesa settecentesca intitolata a sant’Anna. All’interno, un bel dipinto attribuito da Francesco Mancini ad Anton Maria Garbi (Tuoro 1718 – 1797) che ritrae la Madonna con sant’Anna e san Gioacchino, suoi genitori.
La mitologia cristiana vuole che i due, già avanti con gli anni, avessero Maria dopo un’apparizione angelica ed è perciò che sant’Anna divenne protettrice delle donne incinte e patrona di mestieri femminili, tra cui il ricamo, un tempo tra le fiorenti attività di Deruta.
La chiesa di origine medievale è annessa ad un antico palazzo, in origine sede dell’ospedale di san Giacomo, prima che questo fosse trasferito nel Quattrocento all’interno del castello.

Nel borgo erano attive, un tempo, numerose fornaci di ceramica. Alpinolo Magnini, in una sua ricostruzione del 1934, ne conta almeno una decina di epoca rinascimentale, ma stando ai documenti ritrovati recentemente da Clara Menganna negli archivi notarili furono sicuramente di più.
La prima che si ricordi è, nel dicembre 1435, una fornace per cuocere le brocche che due soci, i vasai Moncio (Giacomo Bencioli) e Bargello (Antonio di Ugolino), acquistano in società per dodici fiorini d’oro. E’ un segno di ripresa perché pochi decenni prima il borgo era stato raso al suolo per ordine di Braccio Fortebraccio da Montone nel tentativo di vincere la fiera resistenza dei derutesi, bravi a fare vasi e a combattere.
Dal borgo proveniva, infatti, anche il capitano di ventura Giovanni da Deruta, nobile reclutato nel 1424 nell’armata del Re d’Aragona e, poi, al servizio del Carmagnola. Nel 1459, cedette casa e grotta annessa per trenta fiorini al maestro vasaio Mascio di Vannuccio, all’epoca procuratore dell’arte dei vasai derutesi. Dall’acquirente prese il nome una stirpe di vasai – quella dei Masci appunto – che alla fine del Quattrocento divenne ricca e famosa per il lustro dorato che impreziosiva la loro produzione di maioliche.

Negli stessi anni nel borgo si poteva incontrare anche Assalonne di Michele, raffinato vasaio giunto dalla lontana Salò e anima pia ché lasciò i suoi beni all’ospedale di san Giacomo per pagare l’ospitalità ai pellegrini poveri; oppure qualcuno dei Mancini antica e longeva dinastia di vasai in attività almeno dal Trecento, o tanti altri maestri che tennero a lungo acceso il fuoco delle fornaci.
Tra questi anche quello cui nel 1566 – in un periodo di rinnovamento del gusto decorativo – il musicista fra Girolamo da Deruta, altro illustre concittadino, ordinò per lettera due saliere alla moda che fussero –come egli scrive – di qualche forgia nuova.

Oggi il borgo non reca più tracce delle antiche fornaci.
L’ultima a spegnersi fu quella di Don Pietro Paolo Mancini, ottimo pittore oltre che parroco della chiesa di San Niccolò che venne a mancare nel 1676. Ma è sufficiente qualche scavo stradale per resuscitare grandi quantità di frammenti di ceramiche, avanzi e scarti di quelle antiche officine.
Nel secolo scorso, il borgo fu intitolato a Garibaldi ché pare vi abbia sostato durante qualche suo passaggio in Umbria, ma la notizia non è certa, mentre di sicuro nel luglio 1849 vi si accamparono un centinaio di garibaldini reduci della Repubblica Romana.
Qui sorse anche il Leon di Caprera, per anni unico albergo di Deruta, mentre oggi all’Eroe dei due Mondi resta un circolo politico-culturale di recente inaugurazione.

Avviandosi verso il centro di Deruta, si lascia sulla sinistra un buon ristorante allestito in un’antica casa riadattata in falso antico. Dal nome rusticano, La Locanda del Bracconiere offre cucina umbra a buon prezzo e, fatti pochi metri sulla via di Castelleone, si svolta a sinistra salendo per le piagge, ampia scalinata che conduce alla Porta del Borgo, una delle tre per cui si accede all’antico castello di Deruta. Lungo la salita, non più carrabile dopo la pavimentazione del secondo dopoguerra, converrà gettare lo sguardo a sinistra verso il piano del Tevere che ancora offre, oltre la autostrada, un bel panorama agreste.

Giunti alla Porta, sulla sinistra si vedono i resti, oramai molto rimaneggiati e parte di altri edifici, dell’Ospedale di San Giacomo. Antica e civilissima istituzione deputata alla ospitalità ai pellegrini, era retta dalla comunità dei vasai.
Alcuni nomi dei capi dell’arte si leggono ancora nell’affresco Madonna in trono e i santi Giovanni e Cristoforo commissionato nel 1550 ai pittori Giovanni Battista Caporali e Angelo di Matteo della Spina. La pittura si trova ora nella Pinacoteca Comunale, mentre dall’Ospedale proviene una targa in ceramica del 1594 raffigurante San Giacomo, attribuita a Filippo di Giacomo Mancini, oggi nel Museo della Ceramica.

Deruta doveva essere un gran bel paese, un piccolo gioiello pieno di fornaci, chiese e banche. L’attività economica era così vivace e i derutesi così propensi al rischio imprenditoriale che, verso la metà del Quattrocento, pur contandosi nemmeno mille anime attirarono nel castello tre banchi di ebrei –l’equivalente degli odierni istituti bancari – cui era consentito il prestito ad interesse, proibito ai cristiani.
Ugolino Nicolini la definì il paese dell’arte civile traendolo dalla richiesta di cittadinanza perugina di Simone e Nicolò Masci che dichiaravano nel 1501 di esercitarsi nell’arte civile “cioè in fare e depegnere vasi ed altri lavori de terra”.

Vi erano di casa mercanti, artisti e potenti. Dai Baglioni, di cui Deruta fu uno dei primi castelli, ai vip dell’epoca come Caterina Sforza e Cesare Borgia, ad artisti di fama quali Pinturicchio, Perugino e altri della loro cerchia.
I vasai si riunivano nella chiesa di San Giacomo ed erano i protagonisti della vita civile e amministrativa della città, dimostrando di avere in grande considerazione la cultura e le scienze, ma anche di possedere robusti attributi che servirono, ad esempio, a non farsi imporre nel 1609 un camerlengo analfabeta.

Lasciato l’Ospedale, si prosegue a destra per la via El Frate che costeggia le mura castellane e si sale tra case e palazzi antichi interrotti da affacci sulla stretta valle sottostante che rimonta dal lato opposto al monte di Cerviano da dove il giovane Pietro Vannucci ritrasse nel 1476 lo skyline di Deruta che si vede nel dipinto san Rocco e san Romano, anch’esso nella Pinacoteca comunale.
La via, che prende il nome di uno dei più noti maestri derutesi del XVI secolo Giacomo Mancini detto El Frate, doveva essere un tempo una delle più trafficate dai vasai che anche in questa zona disponevano di numerose fornaci.

Come in questa visita, salivano dalla porta del borgo per giungere a quella alta di Sant’Angelo che apriva sul versante montuoso. Dal piano veniva l’argilla, mentre dal monte veniva la legna per mandare le fornaci, verso il piano per i mercati e le piazze di tutto il mondo, ripartivano le preziose maioliche.
Anche delle fornaci del castello non resta molto. Distrutte o trasformate in abitazioni, i resti di un paio sono state riscoperte qualche decina di anni fa e le si vede segnalate da patchwork ceramici che costeggiano la via sui muri degli orti e delle case, misti ad improbabili claim pubblicitari che vogliono richiamare qualche raro turista.
Oggi sono motivo di attrazione e curiosità più per le fantasticherie che uno dei proprietari racconta nelle sue inserzioni su e-bay che per la loro testimonianza storica.

Nel salire si sale anche di qualche secolo e così, d’improvviso, ci si trova, in prossimità della porta di Sant’Angelo, al vecchio stabilimento della Maioliche Deruta.
L’edificio è da tempo divenuto un condominio e non vi si riconosce più nessuna architettura industriale, ma su una facciata rimane una grande iscrizione pubblicitaria “Societa’ Maioliche Deruta” nera su campo bianco oramai sbiadita, mentre sulla via El Frate rimane uno splendido portale in maiolica che incornicia l’ingresso della ex fabbrica.
Si tratta di un’opera di grandi dimensioni che copre un’area di circa quattro metri quadrati. Vale la pena di descriverlo.
 
L’architrave è sorretto da due colonne piatte decorate con una composizione “a candelabra”, che terminano con un capitello composito a foglie di acanto e volute in rilevo. Una larga fascia centrale sulla piattabanda si stende fra due scudi con il grifo perugino e doppi festoni a rilievo che partono da un vaso in stile rinascimentale, mentre lo spazio centrale è preso dalla marca di fabbrica “Società Anonima Maioliche”.
Alla sommità, circondato da una ghirlanda a rilievo, un tondo con santa Caterina di Alessandria, protettrice dei vasai. Ai due lati della porta un rivestimento di mattonelle dove si alternano gli stemmi di Perugia e di Deruta.

Opera di Alpinolo Magnini che lo completò nei primi anni del secolo scorso, riassume le speranze di Francesco Briganti e dei tanti derutesi che nel 1904 avevano fondato la Società Cooperativa per la Fabbricazione delle Maioliche per rinverdire le antiche glorie e, prima di essere installato all’ingresso della fabbrica, fu inviato alla esposizione di Faenza del 1908 meritandosi una medaglia d’oro.
Speranze, in parte mal riposte poiché l’iniziativa fallì e la cooperativa finì in liquidazione nel 1910. Ma la nuova Società Anonima Maioliche Deruta, tra i cui soci spiccavano Giovanni e Francesco Buitoni e Biagio Biagiotti, che rilevò l’attività ebbe un successo straordinario nel periodo fra le due guerre.

Un caso mondiale che fece di Deruta il maggiore produttore nazionale di ceramica artistica, primato che ancora oggi detiene.
Le vicende della fabbrica (per i derutesi “la fabbrica grande”) si conclusero amaramente nel secondo dopoguerra con il fallimento forzato della società e le successive gestioni commissariali fino alla definitiva chiusura.
L’intelligenza del sindaco socialista Armando Sonno e di altri volenterosi salvò – negli anni Sessanta – almeno il campionario della fabbrica dalla dispersione per destinarlo al Museo della Ceramica dove oggi rappresenta una delle sezioni più consistenti e suggestive, ma il portale, nonostante le cure che gli dedica Ivan Pacifici, un esperto di urbanistica e di memorie derutesi che abita nell’ex fabbrica, versa in condizioni critiche a causa degli anni.
Meriterebbe, perciò, un restauro e una valorizzazione. Esempio ante litteram di efficace arredo urbano potrebbe essere oggetto di intervento con i contributi economici della legge 188/90 riservate alle aziende certificate per la produzione di ceramica di antica tradizione che il Comune ha di recente richiesto al Ministero per opere di abbellimento civico.

Lasciato il vecchio stabilimento e le nostre beghe politico-amministrative, si può finalmente raggiungere la Piazza dei Consoli dirigendosi, per un approfondimento della storia antica e recente, al ricco Museo della Ceramica, meglio se con l’assistenza del Conservatore del Museo professor Busti, non senza aver prima visitato la Pinacoteca collocata nel Palazzo comunale, e l’antica fornace Grazia, se il Comune avrà deciso di renderla visitabile.
Non mancherà l’opportunità di una sosta di ristoro nei locali del centro storico. Per un rapido spuntino o un aperitivo bastano i bar e l’ultima delle botteghe alimentari che resiste nell’antica piazza dei Consoli, oppure il Circolo Endas dove Angelo, il gestore, ha ancora dell’ottima spuma che entusiasma i ragazzi del Cioccomocco (una specialità derutese inventata per Eurochocolate).
Se si ha più tempo a disposizione, in una traversa della Piazza dei Consoli, la piccola Locanda del Gusto propone menù fisso o quasi di cucina umbra con ottima cantina e prezzi anteeuro; mentre nei pressi del Museo, La Fontanina nouvelle cuisine su vivaci tavoli in ceramica e piatti a smalti colorati del creativo proprietario Roberto Domiziani.

P.S. Al termine della visita non dimenticare di scrivere una cartolina al sindaco di Deruta per sostenere il restauro dell’antico portale della “Maioliche Deruta”.

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