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Oltre ai problemi generali, segnalati dall' Associazione nazionale malati reumatici, nel comprensorio si registra una mancanza di specialisti: eppure l'incidenza, prevalente fra le donne, raggiunge l'1% della popolazione

L’artrite reumatoide (AR) è una malattia cronica progressiva e invalidante. Una stima indicativa per l’Umbria è tra i 4.000 e gli 8.000 malati: infatti l’artrite reumatoide colpisce lo 0,5-1% della popolazione e causa disabilità che crescono nel tempo con un peggioramento medio del 2% all’anno.
Gli specialisti della malattia non sembrano abbondare nei servizi della Usl 2 e quasi sempre fanno capo al perugino con una ridotta presenza nei territori degli altri distretti sanitari.

Invece dalla fine degli anni Novanta sono disponibili i farmaci biologici. La loro peculiarità è quella di bloccare l’azione di una proteina, il Fattore di necrosi tumorale (Tnf) che nell’organismo sano ha la funzione di attivare le normali risposte infiammatorie, mentre nel paziente con artrite reumatoide, essendo prodotta in eccesso, scatena quell’infiammazione abnorme che caratterizza la malattia.
L’efficacia dei farmaci biologici è molto elevata, ma dipende in larga misura dalla tempestività con la quale vengono impiegati. Con diagnosi e terapie precoci è, infatti, possibile ottenere, nel 50-60% dei casi, la remissione della malattia con scomparsa dei dolori e riduzione del danno che si è realizzato con una qualità di vita accettabile.
Nel restante 40% si può registrare un sensibile rallentamento dell’evoluzione della malattia, una notevole riduzione sia della sintomatologia dolorosa sia del realizzarsi dei danni invalidanti.
Per arrivare a questi risultati è indispensabile però che la diagnosi di artrite reumatoide sia effettuata entro 12 settimane dalla comparsa dei primi sintomi e che le cure siano avviate entro 16 settimane e non oltre sei mesi dall’esordio della malattia.

L’AR riduce la speranza di vita dei pazienti. I pazienti affetti da artrite hanno un tasso di mortalità superiore a quello atteso nella popolazione generale. In altre parole, le malattie reumatiche non ben curate riducono la speranza di vita: in un arco temporale di 10 anni la mortalità dei pazienti con AR è doppia rispetto a quella dei gruppi di controllo.
I pazienti affetti da Artrite Reumatoide in Italia sono (stima): circa 350-400 mila. La fascia d’età più colpita: tra i 25 e i 45 anni.
La donna è la più colpita nella proporzione di 4 a 1.
In Italia i ricoveri in regime ordinario (dati 2003) sono stati 8234 persone (di cui 6360 donne) mentre quelli in day hospital sono stati 7920 (di cui 6211 donne)
I pazienti con artrite reumatoide in trattamento con biologici (stima 2005) sono circa 7500.
I centri dedicati alla distribuzione di medicinali biologici per paziente sono nella proporzione di uno ogni 1300 pazienti circa. In Umbria ve ne sono 4 ed indicazioni più precise si possono avere presso L’Associazione Umbra Malati Reumatici (A.MA.R. UMBRIA), Via Giovanni Papini, 35 – 06081 Assisi Cell. 347/1372272 – email: amarumbria@libero.it.

I costi sociali dell’artrite reumatoide sono suddivisibili in costi diretti e indiretti.
Uno studio della Società italiana di reumatologia e del Centro studi di economia sanitaria (CeRGAS) dell’Università Bocconi di Milano, nel 1999, ha consentito di affermare che, stimato il numero dei pazienti italiani affetti da AR fra i 190.000 e 410.000, i costi indotti dalla AR in Italia nel 1999 erano compresi fra 2,3 e 5 miliardi di euro all’anno.
Poichè, però, ai dati relativi ai pazienti affetti da AR si devono aggiungere quelli dei pazienti affetti da artriti croniche non reumatoidi, che ammontano a una cifra equivalente a quella delle artriti reumatoidi, si deve pensare che i costi totali per il Ssn della artropatie infiammatorie croniche in Italia sia da collocare, attualmente, fra i 5 e i 10 miliardi di euro/anno.

Ai costi complessivi, devono poi essere sommati i cosiddetti costi intangibili, cioè quelli a carico del malato e dei suoi familiari per far fronte al peggioramento della qualità di vita del paziente e dell’intera famiglia che gli è attorno. I costi intangibili, difficilmente quantificabili, si aggirano comunque attorno ai 10 miliardi di euro.
Attualmente la comunità medica e quella delle persone affette da artrite reumatoide dispongono di terapie nuove in grado di rallentare significativamente la progressione della malattia con un buon profilo di tollerabilità, rendendo possibile una buona qualità di vita per i singoli e i loro familiari, e riducendo i costi indiretti perché prolunga il periodo di vita attiva del paziente.

Purtroppo ancora oggi però permane una scarsa considerazione da parte della società di fronte a queste malattie, troppo spesso le persone che ne sono affette sono costrette a viverle con una doppia sofferenza, fisica e sociale.
Fisica perché l’accesso al sistema delle cure e delle terapie è diseguale sul territorio, non essendo uniformemente normato dalle diverse regioni, alcune delle quali ne fanno esplicita menzione nel piano socio-sanitario altre invece no.
I costi di queste terapie a base di biologici sono elevati: questo è un ulteriore ostacolo all’accesso alle cure per cui – altro paradosso che forse il legislatore non conosce – si verifica l’ennesima bizzarria sulla pelle dei pazienti: per una patologia cronica si assiste a variazioni “stagionali” del consumo dei farmaci biologici. Dove per stagionalità si intende chiusura di bilanci: negli ultimi mesi dell’anno i farmaci vengono acquistati dalle strutture proposte alla loro somministrazione molto meno, salvo poi ritornare a gennaio, con il nuovo budget disponibile, a ricomprarne per somministrarli ai pazienti.

L’informazione, nel caso dell’artrite reumatoide (e delle malattie reumatiche in genere) è scarsa e vaga; i segni con cui si presenta sono confondenti
: dolore alle ossa, rigidità mattutina. Troppo spesso si pensa a un generico dolore d’ossa, frequentemente associato all’età, troppo spesso si crede che il dolore non abbia basi concrete.
La persona che ne è affetta non riconosce nulla che non sia comune a tante altre persone e va dal medico a raccontare di come si sente, e il medico di base molto spesso liquida il “banale dolore” come quel doloretto che più o meno abbiamo tutti.
Il paziente cerca sollievo con analgesici ed antinfiammatori si avventura in un pericoloso fai-da-te che forse nasconde i sintomi ma certo non affronta le cause; oppure ascoltando il racconto che il paziente fa del proprio dolore e queste difficoltà, il medico esita, pensa alle ossa e non al sistema immunitario, e attende troppo tempo prima di indirizzarlo dal reumatologo che pone la corretta diagnosi oppure è il paziente che si demoralizza di fronte all’impossibilità di accedere presto allo specialista.

Oggi perdere questo tempo è colpa grave: diagnosi precoce significa impedire alla malattia di progredire, grazie alle terapie messe a punto della scienza.
Oggi, che la ricerca ha messo a punto strategie e armamentario terapeutico (con i farmaci cosiddetti “biologici”) in grado di rivoluzionare la prognosi e quindi il quotidiano delle persone con artrite reumatoide, è ancor più odioso vedere che per ragioni organizzative e di disinformazione l’accesso a una buona qualità di vita è negato.
Alla luce delle nuove conoscenze, infatti, il medico di base è chiamato a formulare una diagnosi precoce della malattia, prima che questa si sia manifestata in tutta la sua gravità. A ciò consegue la necessità che il medico di medicina generale, primo referente del malato reumatico, sia capace di riconoscere i segnali iniziali della malattia e che ne governi i sintomi d’esordio, avviando quegli accertamenti che fungeranno di supporto alla diagnostica specialistica.

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