Sino alla fine dell’Ottocento, si contavano in Umbria ancora 900 mulini idraulici, parecchi già in disuso, in un inarrestabile processo di degrado dovuti all’abbandono, perché non più conveniente, dell’antichissima tecnologia.
Ora quattro itinerari (dei numerosi possibili) che sono stati scelti, per un libro, là dove più elevata è la densità delle strutture restaurate, alcune delle quali sono state da tempo adibite a funzioni didattico-museali.
Ecco allora che il viaggio si snoda, nella zona dell’Alto Tevere e Città di Castello, lungo le valli dei torrenti Lama-Selci e Regnano; ecco un itinerario di 50 chilometri che, in auto o in bicicletta, offrono la visita dei mulini ad acqua della Valle Umbra, Spoleto e le Fonti del Clitunno, fino a Torgiano; ed ecco la Media Valle del Naia, 23 chilometri di meraviglie, che si snodano da San Gemini a Todi, dove il torrente finisce nel Tevere.
Per finire, non poteva mancare Norcia, con le sue Marcite, fino alla valle del Campiano, dalle caratteristiche uniche nell’Appennino centro-meridionale, per la presenza di acque sorgive che affiorano a temperatura costante.
Un nuovo modo, e al tempo stesso antico, di scoprire l’Umbria autentica, rurale, mistica e francescana. Senza rinunciare ad arte, cultura, attività sportivo-ricreative ed enogastronomia.
Così un volume di Alberto Melelli e Fabio Fatichenti, sponsorizzato dalla Regione Umbria (che già nel recente passato si era impegnata a più riprese nella rilevazione censuaria degli opifici storici e del loro stato di conservazione) con il contributo dell’Unione Europea, contribuisce a ridare ai mulini ad acqua il lustro e l’importanza che meritano, in quanto a tutti gli effetti “beni culturali”.
Corredato da magnifiche foto, riproduzioni di stampe e materiali d’archivio, silloge di contributi di autori diversi lasciati liberi di seguire la propria ispirazione e metodologia, il libro offre per la prima volta un’immagine coordinata e storicamente documentata dei mulini ad acqua umbri, ciascuno descritto e schedato nel suo territorio.
L’Umbria, dunque, si potrebbe dire, vista dai mulini, che legati insieme in tanti possibili itinerari, si offre al lettore in una prospettiva nuova. E non solo al lettore.
Chi legge, infatti, può cavar letteralmente di tasca (una tasca apposta sulla terza di copertina) un opuscoletto in brossura, in cui s’insegna ad “andare per mulini”, ed ecco qui i quattro itinerari belli e pronti, con mappe dettagliate, notizie storiche e tutto quanto occorre al viaggiatore e al turista per orientarsi senza smarrirsi (visto che si entra nel cuore, spesso lontano dai circuiti usati, della campagna umbra).
Per molto tempo, dall’antichità al Medioevo, dal Rinascimento all’Età Moderna, il mulino che sfruttava l’acqua per macinare i cereali fu il signore incontrastato del paesaggio rurale, elemento produttivo e insieme di bellezza, caratteristico della civiltà mediterranea, che contribuiva al fascino di campagne e corsi d’acqua, splendidamente ritratti negli olii e negli acquerelli dei pittori e dei viaggiatori, che visitavano l’Italia; così come luogo d’incontro e fattore socializzante, punto focale delle piccole comunità agresti (che, per scherzo e forse no, accusavano il mugnaio di non far nulla e prender mercede, perché il suo lavoro lo faceva l’acqua, così “mugnaio” diventò sinonimo di fannullone e furfante, perché dal “molinaro” tutti sono gabbati e derubati), fino a che, nella seconda metà dell’Ottocento, la famigerata tassa sul macinato diede loro il colpo di grazia, condannando non soltanto uno strumento, ma un intero mondo che intorno al molino idraulico si era raccolto e perpetuato, all’oblìo, all’incuria e all’invisibilità.