Stefano Montanari, uno dei massimi esperti di nanopatologie, malattie legate alle micro e nanoparticelle, è direttore scientifico del laboratorio “Nanodiagnostics” di Modena, un centro che si occupa di ricerca sull’inquinamento provocato da polveri inorganiche.
Recentemente ha rilasciato una intervista al sito on line greenplanet che di seguito si riporta integralmente quale ideale completamento dell’intervento del Professor Bruno Fedi in tema di inquinamento e malattie.
Negli ultimi anni si comincia a sentir parlare con una certa insistenza di polveri sottili, micro e nano particelle ed effetti dannosi sulla salute. Mi pare tuttavia che persista una certa disinformazione al riguardo: ad esempio, si concede molta importanza al PM10, che lei invece giudica “una polvere grossolana”, rispetto a particelle con dimensioni inferiori, meno “note” ma decisamente più nocive per l’organismo. Ritiene colpevoli i mezzi di informazione in questo senso?
“Le polveri fini e finissime, intorno e al di sotto del micron, sono incomparabilmente più aggressive per la salute rispetto a quelle grossolane. La classificazione di grossolano per le PM10 non è certo mia, ma è quella corrente nei testi tecnici.
Su questa diversa aggressività, molto diversa, nei fatti, tutta la scienza è d’accordo senza eccezione alcuna. La Comunità Europea ha in corso vari studi non sulla nocività di queste polveri, che è ormai notissima, ma sul meccanismo che queste seguono per essere nocive.
Ad esempio, il progetto DIPNA ha a capo mia moglie, la Dott. ssa Antonietta Gatti, e coinvolge 11 centri di ricerca in 6 paesi europei per studiare il meccanismo d’ingresso delle nanopolveri nel nucleo della cellula. Quanto ai mezzi d’informazione, fatte salve le poche, meritevoli eccezioni, lavorano solo per disinformare. Purtroppo alcuni media si valgono della collaborazione di personaggi spacciati come uomini di scienza che sono disposti a prostituirsi per quattro soldi, il che aggrava la situazione allestendo un alone di credibilità. Del resto, pensi a ciò che si faceva anni fa quando le multinazionali del tabacco affittavano “scienziati” per dimostrare che il fumo è innocuo, arrivando anche a dimostrare che serve a prevenire certe malattie come il Morbo di Parkinson. Tutto questo oggi suona grottesco, ma allora la discussione era apertissima”.
I risultati delle sue ricerche – condotte insieme alla Dott. ssa Gatti – che proseguono ormai da diversi anni, hanno evidenziato come in numerosi alimenti siano presenti queste nanoparticelle, sinonimo di rischio per la salute. Può farci degli esempi?
“Non voglio fare esempi di marche e di prodotti perché sono tutti legalmente considerati innocenti. La legge non tiene in alcun conto il micro e nanoparticolato che, dunque, può non solo inquinare senza problemi di sorta ma addirittura essere usato come additivo per alimenti. Cosa, quest’ultima, che viene regolarmente fatta, per esempio, ma non solo, in certi tipi di cioccolato o di gomma da masticare. Malauguratamente chi legifera è di solito indietro anni rispetto alla scienza e basta ricordare lo scempio dell’amianto bandito nel 1992 quando si conosceva da sempre la sua cancerogenicità. Anche in quel caso, media e scienziati a gettone fecero una solidissima barriera per avversare la messa fuori legge di quel terribile inquinante del cui uso sconsiderato paghiamo tuttora e pagheremo ancora per decenni le conseguenze tragiche”.
A riguardo, Lei ha sempre tenuto a precisare che l’obiettivo non era colpire alcun marchio o prodotto, quanto piuttosto diffondere la consapevolezza che l’ambiente è purtroppo ricco di inquinanti. Tuttavia, credo che per alcune aziende questo aspetto potrebbe rappresentare un problema, almeno in termini di reputazione. Dopo tutto questo tempo, c’è stata qualche azienda che l’ha contattata perché interessata seriamente a contrastare il problema.
“Due o tre aziende lo hanno fatto ma la cosa non ha avuto seguito. Del resto, chi glie lo fa fare? Finché tutto tace…”.
Secondo lei, se un’impresa consapevole di avere i propri prodotti inquinati da nanoparticelle cercasse di affrontare il problema, quali strade potrebbe percorrere? Quali precauzioni, cioè, potrebbe porre in essere per prevenire e contrastare tale inquinamento?
“Si controllano le materie prime e tutte le fasi di produzione. Volendo, la cosa è ampiamente fattibile perché tecnicamente non è difficile, ma farlo è impegnativo e, dunque, fa “perdere tempo”. Poi è inutile, perché i consumatori sono tenuti accuratamente nell’ignoranza e non c’è pericolo che boicottino un prodotto. È solo la cultura che può metterci una pezza.
Ha sempre affermato che sono presenti tre tipologie di inquinamento da nanoparticelle: ambientale (ovvero particelle presenti nell’ambiente), industriale (frutto del processo produttivo del prodotto), volontario (ovvero il caso in cui si aggiungano nanoparticelle volontariamente per “migliorare” l’appetibilità di un prodotto)”.
In riferimento a quest’ultimo, avete svolto analisi in dettaglio? Sono presenti reali rischi per la salute? È quindi possibile individuare aziende che utilizzano questi metodi deliberatamente? Sarebbe perlomeno interessante comprendere se sono consapevoli dei rischi cui sottopongono i loro clienti, non trova?
“Purtroppo queste indagini hanno un costo che per noi che ci autofinanziamo come possiamo è tutt’altro che irrilevante. Dunque, non riusciamo a fare analisi sistematiche. Alcune aziende, ma sono pochissime, dichiarano le aggiunte in etichetta, ma la stragrande maggioranza se ne guarda bene. Personalmente credo che siano tutte assolutamente consapevoli del problema, tanto che so per certo che alcuni pezzi grossi di certe industrie non darebbero mai i loro prodotti ai loro figli, ma, lei lo sa, gli affari sono affari”.
Cosa prevede la legge, in italia e in Europa, per tali questioni? Ad esempio, consente le aggiunte citate nella domanda precedente?
“La legge tace”.
Se dovesse fare una classifica delle fonti di inquinamento antropiche relative alle nanoparticelle, quali sarebbero ai primi posti in termini di pericolosità per l’uomo?
“Inceneritori, fonderie e traffico automobilistico, ma le fonti sono in realtà infinite”.
In alcuni siti internet viene riportato che i filtri antiparticolato montati sulle auto sono in realtà uno “specchio per le allodole”: trattengono le particelle PM10 quando l’auto viaggia a basse velocità (ad esempio in città), mentre “sbriciolano” queste particelle quando aumenta la velocità, liberando nell’ambiente una grande quantità di nano particelle dannose. Sulla base della sua esperienza, questa rappresentazione corrisponde alla realtà?
“Non è un pettegolezzo: è esattamente quanto affermano i costruttori del prodotto. Se così fosse non le pare che anziché risolvere un problema si ottenga il solo risultato di delocalizzarlo, portando le fonti di inquinamento fuori dai grandi centri abitati, rischiando di contaminare a questo punto coltivazioni localizzate ovviamente fuori città? Quei filtri renderanno molto più aggressive le polveri diminuendone le dimensioni granulometriche e avranno anche la particolarità di aumentare i consumi di carburanti, con ciò aumentando la quantità d’inquinanti nell’ambiente. Pensi che, per motivi geometrici elementari, con una particella da 10 micron di diametro se ne fa un milione da 0,1 micron. E ognuna di queste è infinitamente più aggressiva di quella grossolana di partenza. Il filtro fa questo. Chi, poi, usa particolari additivi per sminuzzare le polveri, introduce pure un inquinante nuovo. Per quanto riguarda l’inquinamento da nanoparticelle, questo è ormai omogeneo quasi ovunque e, dunque, città o campagna fa poca differenza”.
In una sua intervista ha dichiarato che, analizzando le nanoparticelle presenti in un organismo, riuscite a risalire alle fonti dell’inquinamento. Tale aspetto dovrebbe rappresentare un campanello di allarme per alcune attività imprenditoriali, tipicamente produttrici di questi inquinanti e che espongono quindi i propri dipendenti a seri rischi per la salute? Se non sono previsti delle vigenti norme di sicurezza e igiene sul lavoro, dovrebbero forse preoccuparsene perlomeno quelle aziende che, nei loro bilanci sociali, dichiarano di prestare massima attenzione alle condizioni di lavoro dei propri dipendenti, non crede?
“C’è una norma del diritto che prescrive di non far del male a nessuno. ” Neminem laedere”, dicevano i Latini. Questo, esista o no un particolare articolo di legge. Già qualcuno ha pagato per aver inquinato l’ambiente, ma per essere efficaci e non solo vagamente episodici occorre che la magistratura cominci a porre attenzione al problema, se non altro perché un essere che distrugge l’ambiente in cui vive è destinato ad estinguersi e questo problema è ben maggiore di tante delle sciocchezze su cui qualcuno si trastulla”.
Lei ha più volte ribadito che gli inceneritori non sono assolutamente efficaci nello smaltimento dei rifiuti e che sono importanti fonti di inquinamento anche per quanto riguarda le nanoparticelle emesse durante il processo di incenerimento, che vengono disperse nell’aria. In questo senso, possiamo quindi pensare che siano a rischio, ad esempio, le coltivazioni biologiche in un raggio più o meno ampio rispetto alla presenza di un inceneritore?
“Ovviamente un ambiente sporco non può che generare prodotti sporchi. Ripeto, comunque, che le nanoparticelle si diffondono omogeneamente ovunque ed è la stessa European Environment Agency, l’ente comunitario che si occupa d’inquinamento, che ce lo fa notare. Le particelle grossolane, invece, cascano a terra in un raggio di pochi chilometri, inquinando sì terra, erba, frutta e verdura, ma in maniera meno insidiosa. Insomma, porre un limite di qualche chilometro tra inceneritore e coltivazione non ha particolare senso scientifico. Considerato peso e diametro delle nanoparticelle, non credo assolutamente sia insensato pensare che possano viaggiare spostate dal vento per molti chilometri, vanificando gli sforzi di coloro che investono per fornire prodotti di elevata qualità ai consumatori. Pensi ai pollini che hanno una massa qualche milione di volte superiore alle nanoparticelle di cui io mi occupo: qualsiasi paleontologo sa che i pollini europei si trovano al Polo Sud. Pensi alla sabbia del Sahara, relativamente pesantissima, che varca gli oceani e si trova nelle piogge rosse che conosciamo tutti. Faccia lei i suoi calcoli”.
Non le pare che la tendenza potrebbe diventare quella di delocalizzare le fonti di inquinamento verso zone che offrono meno controlli? Mi viene da pensare ai paesi in via di sviluppo o al terzo mondo. Ad esempio, nella produzione di energia non vedo molto remota la possibilità che si comincino a costruire impianti di generazione, anche inquinanti, dove nessuno si preoccuperebbe degli impatti sulla salute umana. Al contempo, questa rischia a mio parere di diventare la soluzione anche per lo smaltimento dei rifiuti, che potrebbe quindi concretizzarsi con la costruzione di inceneritori in questi luoghi.
“Ha mai pensato che il Terzo Mondo siamo noi? Ha mai meditato sul perché l’Italia sta diventando terra di conquista per chi fabbrica inceneritori e non riesce a rifilarli a nessuno tranne che a noi? Il Terzo Mondo è più nei cervelli che nei portafogli e quell’arma di legittima difesa che è la cultura da noi è bandita. Dunque, siamo culturalmente Terzo Mondo. Accenda la TV, apra un giornale o entri in un’aula universitaria e si faccia lei la sua idea”.