Dopo quella di Romazzano, è il caso di un’altra fontana. Questa volta, però, a parlare non sono vecchie carte. È infatti una storia d’oggi o, meglio, una storia dell’anno appena passato.
La fontana, comunale, è quella poco nota che si incontra fra le case imboccando una traversa di via Carocci, a due passi dalle mura di Todi. Fino a pochi mesi fa riceveva le acque tracimanti da un antico pozzo, posto pochi metri a monte in una proprietà privata. Da maggio 2007 quest’ultimo ha visto calare il suo livello cosicché la fontana è rimasta all’asciutto.
Chiaramente non è solo questione di siccità. Vicinissimo sia all’uno che all’altra è il grande cantiere dell’ex elaiopolio che durante la scorsa primavera è finito sotto i riflettori per gli importanti ritrovamenti archeologici.
Nessuno però ha dato la notizia che oltre ai preziosi reperti, durante lo sbancamento condotto fino alla profondità di 4 metri, è spuntato un altro tesoro, quello che alcuni chiamano l’oro del nuovo millennio: l’acqua, naturalmente. L’acqua di una falda tranciata di netto.
I curiosi, che da fuori hanno sbirciato attraverso la recinzione del cantiere, l’hanno vista per settimane ristagnare nell’area dello scavo prima che fosse convogliata nella nuova fognatura costruita a servizio del nuovo edificio in costruzione.
Il danno lo ha certificato anche un geologo dell’ufficio Tecnico invitato a relazionare dall’ufficio Urbanistica in seguito alla presentazione di un esposto. Egli scrive: “Lo scavo realizzato ha intercettato la falda deprimendone inevitabilmente il livello piezometrico e causandone così la mancata captazione. Quindi l’intervento ha di fatto modificato l’assetto idrogeologico locale interrompendo i moti di filtrazione delle acque e variandone i percorsi sotterranei”.
“Danni collaterali” li chiamano in guerra, ossia un fatto spiacevole, né voluto né previsto. Qualcuno dirà che è andata così. Eppure che a quella profondità ci fosse una falda lo sapevano tutti. Lo sapevano perchè era scritto anche nella relazione geologica da allegare alla domanda di concessione edilizia.
Ai primi di maggio 2006 vengono eseguiti due sondaggi in profondità, uno a monte ed uno a valle del vecchio edificio, non ancora demolito. I due piezometri a tubo aperto messi in opera rivelano “la circolazione di acque all’interno della porzione sub-superficiale del terreno e più precisamente in P1 (sondaggio a monte) a -3,5 mt dal piano di campagna ed in P2 (sondaggio a valle) a -4,20 mt dal piano di campagna”.
Se non bastasse, all’interno della relazione un elaborato grafico intitolato “Schema dei Rapporti Stratigrafici” mostra una sezione del sito con indicati il livello delle acque e la profondità dello sbancamento previsto, 4 metri appunto, ossia, verso monte, mezzo metro sotto la falda.
Un danno dunque annunciato che non si è saputo evitare, rilasciando subito la concessione senza alcuna prescrizione a tenersi con le ruspe a quote più alte. Un danno, una volta compiuto, a cui si sarebbe potuto rimediare se solo le carte fossero più veloci a circolare fra i vari uffici comunali.
La relazione del geologo del Comune incaricato di relazionare sull’accaduto, datata 15 giugno 2007, per almeno venti giorni è rimasta sepolta sotto altre carte sulla scrivania del Dirigente dell’Ufficio Tecnico prima che fosse trasmessa, su sollecito di chi aveva presentato l’esposto, al Dirigente dell’Ufficio Urbanistica che quella relazione aveva richiesto.
Detta relazione si concludeva così: “Un sostegno alla ripresa della circolazione può essere la posa in opera di un materasso drenante o tubo drenante posto in direzione della fontana, al fine di ristabilire un flusso necessario per riattivarla”.
Naturalmente quando il Dirigente dell’Urbanistica si è presentato in cantiere con la relazione in mano, più o meno gli avranno risposto così: “Spiacenti, ormai è tardi, i lavori sono andati troppo avanti”. Dunque niente tubo e niente materasso, la fontana all’asciutto. Fine della storia.