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Cronache d'epoca, anno 1869, parrocchia di Colvalenza: don Pietro Pollioni, morto prematuramente, aveva davvero nascosto nel materasso una borsa piena di monete d'oro?

Un fuoco arde illuminando e schiarendo la nebbia, appena fuori dall’abitato di Colvalenza; intorno un gruppetto di gente, donne strette in scialli, uomini intabarrati per combattere il freddo. Alcuni sono molto tristi, qualche donna piange. E’ il 31 dicembre 1869 e si celebra il triste epilogo della vita di don Pietro Pollioni, prete del paese, morto prematuramente.
Ancora non sono state celebrate le esequie del sacerdote, ma i parenti hanno dato ordine di dare fuoco al saccone del letto dove dormiva, il classico sacco di tela pieno di foglie di granoturco che ancora per molti decenni sarà il rudimentale materasso nelle campagne umbre.
Tra le persone presenti c’erano Vincenzo Morcella, Luigi Panduri, Giovanni Bafficchio, Marianna Bartolini, Vincenzo Torcella, Sabbatino Sparnaccia, Rosalinda Valli, Egiziaca Valli Casali. L’incarico ufficiale di bruciare il saccone l’hanno avuto due giovani, Girolamo Taddei, venticinquenne bracciante con qualche precedente penale, detto Vacchetta, e il ventunenne Pio Cecchetti, piccolo possidente.
Sono proprio Taddei e Cecchetti gli ultimi a rimanere, a gettare le ultime foglie del saccone servendosi di un rudimentale forcone, mentre il fuoco si estingue lentamente. Rimangono soli, ma dopo pochi giorni il venticello della calunnia gira in paese: Taddei ha trovato un involto nel saccone, cosa ci fosse e cosa ne abbia fatto non si sa.
Rimarrebbero chiacchiere di paese se il fratello del defunto, di nome Gaspare, commerciante di bestiame e di generi vari di Colvalenza, non venisse a sapere, dal canonico di Todi don Fiorenzo Spica, che il prete quando era in vita gli aveva confidato che nel sacco dove dormiva teneva una somma di denaro per 9.000 lire in oro.

I sospetti cadono inesorabili, anche per le chiacchiere che circolano, su Taddei
. Gaspare Pollioni promette regali, blandisce il Taddei, ma questi sostiene di non aver trovato nulla. I carabinieri vanno da Cecchetti, ormai diventato testimone chiave, che conferma di avere visto tutto. Taddei, chiamato in causa, prima nega, poi minaccia.
Gaspare Pollioni insiste: “Trovai in casa di mio fratello meno denaro del previsto, la spiegazione la ebbi da Spica, che conoscevo come intimo del defunto, ma in seguito anche da voci di popolo“. Taddei dichiara: “Terminato di ardere le foglie la gente si ritirò e rimanemmo io e Cecchetti, che con una forca che aveva in mano si mise a spianare la cenere. Nel fare ciò gettò lontano un involto. Dopo averlo maneggiato con la forca lo raccolsi e lo mostrai, era uno straccio che gettai nel fuoco. Ce ne andammo. Un mese dopo mi chiamò Fernando Cecchetti, padre di Pio, che mi disse che il figlio di notte si spaventava per via di quella borsa del prete trovata con i soldi… Ricordo ancora quel giorno, le foglie continuavano a bruciare, la gente diceva che in mezzo ci fosse una spada. C’era molta gente a vedere. Il Morcella toglieva le foglie, il Bafficchio le sgrullava con una forca e quindi le gettava ad ardere, alla presenza di Panduri e della Bartolini. In seguito il padre di Pio mi chiese che quando mi avesse chiamato il parroco dovevo dire che il figlio non aveva preso niente e che mi avrebbe compensato. Io dissi che l’avrei fatto anche senza compenso. Qualche giorno dopo ero nel mulino di proprietà di Enrico Bianchini. Pio mi disse: “Girolamo dammi la parte sennò non rimango zitto, perché io ho veduto e toccato la borsa che hai raccolta. Invece – conclude Taddei – forse è proprio Cecchetti che l’ha trovata“.

La storia non finisce qui. Alla fine di febbraio Francesco Antenori va dal padre di Cecchetti dicendo che Taddei gli avrebbe fatto avere 100 scudi per il silenzio. Giuseppe Vergari, detto il Lupo, precisa che li avrebbe avuti quando sarebbe stato chiamato in tribunale per testimoniare. La perquisizione è negativa, ma i testi sono numerosi e le voci tante.
Francesco Antenori, un colono nato a Chioano ma domiciliato a Colvalenza, in seguito dice:Volevo solo aggiustare le cose senza che Taddei sapesse”. Ma poi ritratta e afferma:Chiesi solo come fosse andato l’affare, la madre di Pio rispose: “A mio figlio Taddei non vuole dire niente“. Interviene Feliziano Cecchini: “Taddei mi chiese se potevo fargli prestare dei soldi, io gli consigliai di andare da Angelo Ceccarini, detto Luchetta, che abita alla Torre. Gli chiesi per strada se era vero che aveva trovato i soldi, mi disse che era vero ma che non li aveva ancora guardati, perché se fosse stato chiamato in giudizio poteva giurare di non averli veduti“. Disse anche che non aveva rubato i soldi ma li aveva solo trovati.

Taddei alla fine ammette:Enrico Bianchini può tirare fuori i soldi, per non vedermi in galera tirerà fuori quanto chiedo. L’involto è vero, l’ho trovato, era pesante e l’ho nascosto in un buco in una parete della stalla del “Beco” all’interno del paese. Sono stato zitto fino ad ora, ma per onestà non ho potuto reggere“. Ma poi dirà: “E’ inutile che cercate, perché vi ho detto una bugia, e poi sono mezzo matto. L’involto lo affidai a Enrico Bianchini, che ha possedimenti e una casa in paese, i miei lavorano in continuazione per lui e poi sarebbe stato incapace a negarmelo”.
Ai carabinieri ribadisce: “La borsa la consegnai a Enrico Bianchini“. E Luigi Valli, possidente:Hanno inteso che Taddei faceva il contratto del frutto del denaro con Bianchini, lo dissero a Mariano Bartolucci e a suo figlio Piergentile. Bianchini si è esternato al suo colono Filippo Ferroni che ‘Se il Taddei non se lo cagava quando usciva dal carcere avrebbe fatto bene…’”.
Pio Cecchetti dice ora la sua ultima verità:Attorniati dalla gente che si avvicinava, Taddei con una forca di legno frugava. Fummo gli ultimi e frugavamo. ‘Vedi che cos’è?, sarà qualcosa del prete?’. Poi prese l’involto e si allontanò. Si sparse dopo la voce dei soldi del prete e io glie ne chiesi conto. Ci minacciò in casa e fuori, io andai ad abbeverare una vacca e lui mi si parò avanti e disse ‘Se te e tuo padre non la finite io vo carcerato, tutto per voi due’“.
Interviene anche l’autorevole voce di don Fiorenzo Spica, canonico penitenziario della cattedrale, possidente:Ero molto amico di don Pollioni, spesso lo andavo a trovare e mi manifestava le cose, anche le più gelose. Era ritenuto un uomo danaroso. Una volta cercando di toccare questo tasto mi manifestava tenere somme nascoste sotto un mattone in camera e in un pagliericcio del letto, nel comò e in un altro luogo della camera da letto. Le ultime ore non ebbi il coraggio di fargli visita“.
I carabinieri però sono sicuri del fatto che Taddei dal sacco prelevò una borsa in pelle rotonda contenente molte monete in oro” e dicono: “la borsa può essere detenuta da Enrico Bianchini, possidente, domiciliato a San Gemini, perché consegnatagli da Girolamo Taddei, che si suppone autore del furto. Le indagini devono essere fatte con riservatezza, trattandosi di persona, il Bianchini, che gode di buona reputazione in paese”.
Ma la borsa, se mai è esistita, non si trova, e mancando la prova del reato, Taddei viene assolto.

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