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Arriva in libreria l'inchiesta del giornalista orvietano Claudio Lattanzi sull'infiltrazione malavitosa nella regione
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Si intitola “La mafia in Umbria. Cronaca di un assedio. La prima inchiesta sulla penetrazione delle cosche nella regione del buon vivere” il libro edito da Intermedia Edizioni in distribuzione da questa settimana in tutta l’Umbria che fa, per la prima volta, il punto sulle infiltrazioni delle criminalità organizzata nella nostra regione.
L’autore Claudio Lattanzi (già coautore, tra l’altro, di "Scacco al Monsignore") svela le strategie adottate nel corso degli ultimi anni da camorra, ‘ndrangheta e Cosa nostra per mettere le mani su lucrosi business in Umbria e lo fa partendo da un’analisi delle inchieste condotte fino ad oggi dalla magistratura in varie città dell’Umbria, da Perugia a Città di Castello, da Terni a Foligno, da Spoleto a Todi, da Amelia a Spoleto.
Nella seconda parte del volume sono ospitate varie interviste a magistrati, presidenti di associazioni di categoria, ufficiali delle forze dell’ordine, sindacalisti, rappresentanti delle istituzioni che confermano quanto l’allarme per le penetrazioni della criminalità organizzata in Umbria sia fondato ed attuale.
All’autore chiediamo di chiarire le dimensioni del fenomeno, così come emerge e si delinea dal suo lavoro di indagine giornalistica.

I magistrati della direzione investigativa antimafia di Perugia parlano ormai apertamente di “mafizzazione dell’Umbria” eppure l’opinione pubblica regionale non sembra avere piena consapevolezza dell’aggressione criminale che è in atto da tempo, per quale motivo?
"E’ vero. Ciò accade perchè la criminalità organizzata che sta aggredendo la nostra regione in maniera abbastanza sistematica ormai dalla fine degli anni Novanta,  incarna la versione più evoluta della mafia. Mentre al sud hanno conosciuto il volto truce e violento dell’intimidazione, delle mattanze per il controllo del territorio, degli omicidi come pratica quotidiana per imporre il potere, della richiesta del pizzo e così via, gli umbri si trovano a dover fronteggiare la mafia ormai trasformatasi in impresa, cioè nella sua versione più aggiornata ed insidiosa. Qui, salvo rare eccezioni, non ci sono regolamenti di conti e omicidi in mezzo alle strade, ma un tentativo continuo di penetrazione nell’economia. Un pericolo di questo tipo è più difficile da individuare, per questo motivo sembra invisibile e sono in molti a non rendersi conti della guerra silenziosa che è stata dichiarata all’Umbria".

Si tratta quindi di una malavità economica?
"Prevalentemente si. La pressione delle forze dell’ordine contro i clan meridionali, la saturazione di alcuni mercati criminali del sud e la possibilità di mimetizzarsi bene in Umbria, unite alla necessità di ripulire gli immensi profitti del narcotraffico costituiscono alcune delle cause principali che spingono soprattutto i camorristi e gli ‘ndranghestiti a sbarcare nella nostra terra. Le indagini condotte finora dimostrano una forte propensione ad utilizzare dei prestanome per gestire attività economiche attraverso le quali dare copertura contabile a masse di denaro di provenienza illecita, ma ci sono stati anche seri tentativi di assumere il controllo di aziende per spolpare di ogni risorsa finanziaria ed usarle come strumenti per compiere il salto di qualità, ovvero assicurarsi una fetta degli appalti pubblici. La gestione della droga in accordo con i clan criminali africani ed albanesi costitusce poi un capitolo a parte così come ci sono segnali inquietanti relativi alla gestione dei rifiuti, al tentativo di condizionare alcune amministrazioni locali per imporre determinate scelte in campo urbanistico.  Ci sono importanti fette dell’economia umbra come, ad esempio, il settore delle pulizie che si ritengono essere già pesantemente infiltrate. In alcune zone come l’Alto Tevere, ci sono famiglie storiche della ‘ndrangheta di Reggio Calabria come i Facchineri che hanno un loro insediamento fin dagli anni Settanta; nella stessa Città di Castello si sono verificati recenti ed inquietanti episodi legati a rapporti tra imprenditoria e massoneria".

Come sono arrivati i mafiosi in Umbria?
"Ci sono segnali evidenti che i primi “contagi” si siano verificati a fine anni Novanta con gli appalti della ricostruzione, 916 dei quali se li sono aggiudicati 298 imprese campane, soprattutto napoletane e casertane. C’è stato poi  il fenomeno dei tanti pregiudicati mandati in Umbria in soggiorno obbligato e detenuti in soggiorno speciale o le famiglie che hanno gravitato per anni intorno al super carcere di Spoleto dove ci sono detenuti al 41 bis per reati di mafia. Oggi siamo arrivati alla situazione descritta nel marzo del 2010 da un rapporto dei servizi segreti ai vertici dello Stato da cui risulta che l’Umbria è la quinta regione d’Italia per presenza di clan mafiosi e camorristici".

Quali sono i clan più pericolosi in azione qui?
"Probabilmente la ‘ndgangheta e i Casalesi. La ‘ndrangheta ha una forza particolare legata ai legami famigliari dei suoi componenti e non conosce quasi per niente il pentitisimo.  I Casalesi hanno dimostrato una capacità di espansione in vari settori economici, dall’edilizia all’agromafia, altrettanto spaventosa. Sia la provincia di Perugia che quella di Terni conoscono bene queste presenze come è documentato nel libro".

L’Umbria corre davvero il rischio di finire come le regioni del sud?
"Il rischio esiste, ma c’è anche una coscienza civile che appare ancora salda. Bisogna però tenere tutti gli occhi  ben aperti. Alcuni fenomeni di completa degenerazione come, ad esempio, la capacità di pilotre gli appalti presuppongono non solo il controllo delle aziende, ma anche la gestione malavitosa della pubblica amministrazione attraverso l’infiltrazione nella politica. Su questo versante, al momento,  non sembrano fortunatamente esserci segnali, almeno per quanto riguarda la politica umbra, ma le organizzazioni mafiose sono sempre dieci passi avanti allo Stato".

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