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Mons. Giovanni Rosati, vescovo di Todi e Lorenzo Leoni: "li voglio riconsegnare insieme alla storia, con la speranza che questa possa essere riscritta alla luce di una nuova sensibilità, più aderente alla verità".
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Nella recente mostra – storico-documentaria- Omaggio di Todi all’Unità d’ Italia, realizzata con numerose bacheche nella sala dell’Arengo del Comune, dal 5 al 27 febbraio 2011, e curata brillantemente da Fabiola Bernardini, Filippo Orsini e Nicoletta Paolucci , non si poteva, in questo percorso espositivo, non ricordare nel bene e nel male, Mons. Giovanni Rosati, vescovo di Todi , che ha guidato questa vetusta diocesi per quasi trent’anni, dal 1855 al 1882.

Nella bacheca a Lui dedicata, ho notato che le notizie diffuse dalla stampa clandestina di quel periodo storico, rivolte al Rosati, erano impregnate di espressioni sarcastiche, a causa del suo conservatorismo, e ho provato nuovamente sentimenti di umana pietà, per quest’uomo di Chiesa, così pesantemente oltraggiato da una penna intinta di atro veleno.
Diversi anni fa , questo Presule, divenne argomento principale nella mia tesi di laurea in Storia della Chiesa: Mons. Giovanni Rosati, vescovo di Todi, tra sentimento religioso e intransigentismo (1855-1882).
Si trattò allora di una scelta finalizzata ad approfondire alcuni aspetti storici di quel lasso di tempo, che fu uno dei più critici della sua storia e, che vide protagonista anche la chiesa locale.

La nomina del Rosati a capo della Curia vescovile di Todi, avvenuta il 23 marzo del 1855 da parte di Pio IX, coincise infatti con il programma di unificazione nazionale dello Stato piemontese.
Tra i più noti  esponenti del pensiero moderno e rivoluzionario di Todi
, la mostra, ha ricordato anche il conte Lorenzo Leoni, massone, tra l’altro autore della Cronaca dei Vescovi di Todi, edita dopo la sua morte, nella quale descrisse con un distico la personalità del Rosati, consegnandolo per sempre alla storia come un Pastore inetto: Vir simplex, fortasse bonus, sed pastor ineptus, vult tentat, peragit plurima, pauca, nihil., senza nessun’altra voce fino a tutt’oggi.
Certamente un’espressione così demolitrice non poteva scaturire, se non da un giudizio fortemente condizionato da quella generale visione politica, antitetica a quella clericale e conservatrice del vescovo.

Il Rosati proveniente dal Lazio (nato a Ferentino nel 1799, da una famiglia patrizia) trovò anche a Todi, tra la cittadinanza, quelle idee di libertà, di democrazia e di unità di patria, che animavano fortemente quel fermento rivoluzionario presente in quasi tutto il territorio pontificio. Per me , che ho avuto modo di approfondire il lungo periodo del suo ministero, fu un Pastore battagliero dall’inizio sino alla fine.
Subito dopo la proclamazione della nascita del Regno d’Italia
, il ministro di Grazia e Giustizia e dei Culti Miglietti, il 26 ottobre, inviava ai singoli membri della gerarchia cattolica una Circolare, in cui con toni minacciosi affermava: molti membri del Clero ed anche dell’ordine più elevato apertamente avversano il Governo Nazionale e le sue leggi ed ostentano far credere che l’uno e le altre siano in contraddizione con le dottrine e gli interessi della Chiesa Cattolica.
Che se accadesse che alcun membro del Clero s’appigliasse a un religioso pretesto per sommuovere le popolazioni, per gettare il vilipendio sulle istituzioni dello Stato o per impedire l’esecuzione delle leggi in tal caso
il Governo del RE si troverà costretto di ricorrere ai più severi provvedimenti.

A queste accuse, l’Episcopato Umbro attraverso l’Indirizzo al Santo Padre di G. Pecci, arcivescovo di Perugia, futuro successore di Pio IX, fece giungere il suo forte dissenso, sottoscritto anche dal Rosati, testimoniando, uniti, al Capo della Chiesa, riconosciuto come l’Autorità più alta, e depositaria di Verità una compatta fedeltà.
Il Rosati, all’accusa di aver l’Episcopato pronunciato dissonanza intorno ai nuovi ordinamenti della morale cristiana,in maniera anche autonoma rispose con apostolica fermezza il 3 dicembre del 1861, chiedendo al Ministro a chi appartenesse il pronunciare intorno ai giudizi dogmatici o morali di ciascun vescovo se ogni laico, che si chiama Ministro dei Culti e che potrebbe talvolta essere un eterodosso, è giudice supremo degli atti episcopali, a che si ridurrà il rispetto dovuto alla divina missione dei Vescovi? Che sarà della unità di dottrina, sia teoretica sia pratica, la quale deve essere per ogni dove bandita dall’ episcopato cattolico?.
Il Rosati rivendicò ancora una volta alla Chiesa e in particolar modo all’Episcopato il ruolo di preminenza nell’affrontare i problemi di ordine morale.

Come un gladiatore, combattè nell’arena locale i nemici della religione cattolica, opponendosi alla libertà di stampa che permetteva soprattutto la diffusione disfrenata di dottrine eretiche in tutte le abitazioni degli uomini, corrompendo ogni età ed ogni sesso come quelle affermate nel libro : La Vita di Gesù di Ernesto Renan.
Con una lettera Indulto, il Rosati nel 1863 invitava i fedeli a buttarlo alle fiamme, in quanto il Renan rifiutava di Gesù l’aspetto soprannaturale.
Nel 1870 partecipò al Concilio Vaticano I°, votando la costituzione dogmatica Dei Filius con la quale ci si opponeva al panteismo, al materialismo e al razionalismo moderno: una trattazione chiara della dottrina cattolica su Dio, sulla Rivelazione e sulla fede, che proclamava tra l’altro il pieno accordo tra fede e ragione e la capacità di questa di giungere a Dio.
Votò anche la Pastor Aeternus la quale definiva l’infallibilità ex cattedra del pontefice in materia di fede e il Primato di giurisdizione dello stesso su tutta la Chiesa. Nel 1871, pubblicò una eruditissima Lettera sulla infallibilità pontificia.

Del vescovo Rosati rimangono numerose lettere pastorali che il presule inviava puntualmente ogni anno al Suo Dilettissimo Gregge in occasione della Santa Quaresima .
In queste lettere invitava costantemente fedeli alla riconciliazione con Dio attraverso la pratica della penitenza, il digiuno e le opere caritatevoli.
Spesso si soffermava sulla brevità della vita che come nuvola mattutina al primo raggio del nascente sole si dilegua..
Nonostante la sua visione fosse intransigente e in qualche modo apocalittica, trasmise comunque ai fedeli sempre attraverso le Lettere, un messaggio rassicurante sulle future sorti dell’umanità e della Chiesa.

Nel 1882 ormai vecchio e malato, per motivi di salute fu allontanato dalla diocesi. Morì il 14 Marzo del 1884 sotto il pontificato di Leone XIII. Fu sepolto nel cimitero Vecchio di Todi e come sottolinea lo storico P. Alvi nel 1910: giace dimenticato Giovanni Rosati di Ferentino la cui salma sepolta nel 1884 non è curata
Il 1° Marzo del 1997, le sue ceneri sono tate traslate presso la cripta del Duomo di Todi. Mentre il conte Lorenzo Leoni, archivista e bibliotecario del Comune di Todi, deputato provinciale(1862-1876), deputato al Parlamento in tre legislature(1865-1876), con la caduta della Destra nel 1876, privato di ogni pubblico ufficio, venne fatto segno di odio e di persecuzione anche da parte di coloro che aveva largamente beneficiato, morì, con l’angoscia nel cuore per la tanta ingratitudine ricevuta, il 18 agosto del 1887. 

In questa occasione della ricorrenza del 150° dell’unità d’Italia, io li ricordo e li voglio riconsegnare insieme alla storia, con la speranza che questa possa essere riscritta alla luce di una nuova sensibilità, più aderente alla verità., in quanto non posso non sottolineare che anche il Rosati, sull’altro fronte della barricata del Leoni, lottò tenacemente da eroe per salvaguardare l’integrità della fede cattolica. 

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