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Appello del consigliere regionale perugino Monni a mettere in cantiere, per il sistema ospedaliero, progetti e ristrutturazioni a prescindere dalle persone, dai ruoli e dalle competenze personali
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Finalmente c’è qualche altro perugino che comincia a riflettere sui danni che si arrecano ai cittadini del capoluogo umbro continuando a perseguire una politica “grifocentrica” e dimenticando che l’Umbria può a ragione essere considerata una “città- regione,” in cui ogni singolo “quartire” può e deve assumere un ruolo al servizio di tutta la comunità regionale non delegando nulla e non essendo espropriata di nulla seppur in quadro di equilibrio territoriale.
Il consigliere regionale Massimo Monni (Pdl) dopo il sopralluogo effettuato nei reparti
di oncologia, pneumologia, gastroenterologia e nefrologia dell’ospedale S.Maria della Misericordia di Perugia
, tra le altre cose, ha rilevato che “tutti lamentano, tra l’altro, il grande afflusso dei pazienti da ospedali periferici che vanno ad ‘intasare’ le strutture perugine.
Di conseguenza inquesto meccanismo a cascata sono coinvolti anche il personale medico e paramedico, che lavora in condizioni di assoluta promiscuità nonostante la grande volontà ed impegno”.
La ragione di ciò è semplice: all’ospedale ex Silvestrini si pretende di fare contemporaneamente: bassa, media ed alta medicina.
Il motivo è in un meccanismo che si morde la coda, si perpetua e si amplifica: troppi ricoveri, troppo personale e conseguente necessità di più soldi e personale.
Ed allora, come ha rilevato il consigliere, è la norma che “quello che da subito si è evidenziato in tutti i reparti è la carenza dei posti letto. Sulle barelle e lungo i corridoi sono ‘parcheggiati’ da un minimo di 2 ad un massimo di 6 malati. Inoltre, proprio per l’insufficienza dei posti letto, il pronto soccorso non può operare da filtro e i pazienti vengono ricoverati anche in reparti non confacenti alla patologia. Addirittura in un reparto non era presente neanche il medico strutturato, ma solo lo specializzando”.
La soluzione c’è sol che la si voglia vedere, la “cintura” sanitaria perugina deve essere messa in condizione di fare da filtro e non limitarsi, come ora prevede il piano sanitario regionale, a puntare su day hospital e ricoveri di un giorno,
Le strutture periferiche intorno a Perugia sono ad un tiro di schioppo, spesso temporalmente distanti dai quartieri perugini popolosi meno che l’ex Silvestrini.
Per i pazienti ed anche per quanti puntano a stare nel capoluogo per essere facilitati nel fare “marchette” nel tempo libero, lasciando magari nei reparti gli specializzandi, spostarsi a 15 -20 minuti dal centro di Perugia non causerebbe alcun danno anzi. Basterebbe anche in questo caso strutturare una rete di trasporti pubblici che non punti solo al capoluogo con quasi un unico senso di marcia.
Ed allora l’appello del consigliere “necessità urgente di trovare soluzioni univoche e di mettere in cantiere progetti e ristrutturazioni a prescindere dalle persone, dai ruoli e dalle competenze personali”, potrebbe avere un seguito, altrimenti il “nodo” di Perugia seguiterà ad aggrovigliarsi a vantaggio di pochi ed a danno di quasi tutti, perugini in primis.

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