A Roma nel convegno internazionale su fusione fredda e materia condensata organizzato dall’Enea, c’era una presenza storica: Martin Fleishmann, l’elettrochimico che insieme a Stanley Pons annunciò nel 1989 la possibilità di produrre energia nucleare a temperatura ambiente.
Capelli bianchi, la voce che tradisce i suoi 80 anni passati, Fleishmann è incerto sul futuro delle ricerche sulla fusione fredda.
Tutto comincia il 23 marzo 1989, quando dall’università americana dello Utah gli elettrochimici Martin Fleischmann e Stanley Pons annunciano in una conferenza stampa (spinti dal timore di una fuga di notizie, dissero in seguito, ma forse la paura era di essere bruciati sul tempo da un altro ricercatore) di avere prodotto energia riproducendo, in laboratorio e a temperatura ambiente, il processo di fusione nucleare che avviene nelle stelle a temperature altissime.
La notizia fa il giro del mondo e gli occhi sono puntati sul rudimentale apparato nel quale era stato prodotto calore combinando un nucleo di deuterio su una spugna di palladio e applicando una corrente elettrica. Erano state misurate anche piccole quantità di prodotti-spia di un avvenuto processo nucleare, come neutroni e trizio.
Capelli bianchi, la voce che tradisce i suoi 80 anni passati, Fleishmann è incerto sul futuro delle ricerche sulla fusione fredda.
Tutto comincia il 23 marzo 1989, quando dall’università americana dello Utah gli elettrochimici Martin Fleischmann e Stanley Pons annunciano in una conferenza stampa (spinti dal timore di una fuga di notizie, dissero in seguito, ma forse la paura era di essere bruciati sul tempo da un altro ricercatore) di avere prodotto energia riproducendo, in laboratorio e a temperatura ambiente, il processo di fusione nucleare che avviene nelle stelle a temperature altissime.
La notizia fa il giro del mondo e gli occhi sono puntati sul rudimentale apparato nel quale era stato prodotto calore combinando un nucleo di deuterio su una spugna di palladio e applicando una corrente elettrica. Erano state misurate anche piccole quantità di prodotti-spia di un avvenuto processo nucleare, come neutroni e trizio.
Il giorno dopo un altro ricercatore dello Utah, Steven Jones, della Brigham Young University, annuncia un esperimento simile. Fisici di tutto il mondo cercano di riprodurre l’esperimento nei loro laboratori, anche se i due chimici dello Utah non hanno ancora pubblicato i loro risultati.
Ma in pochi mesi l’entusiasmo scompare: la maggior parte dei laboratori non riescono a riprodurre l’esperimento e nel luglio 1989 una delle maggiori riviste scientifiche internazionali, Nature, definisce la fusione fredda un’illusione.
Ma in pochi mesi l’entusiasmo scompare: la maggior parte dei laboratori non riescono a riprodurre l’esperimento e nel luglio 1989 una delle maggiori riviste scientifiche internazionali, Nature, definisce la fusione fredda un’illusione.
La «riabilitazione scientifica» della fusione fredda arriva nel 2000, quando sono ormai numerose le conferme che si tratta di una reazione nucleare nella quale si sviluppa energia sotto forma di calore.
“Noi osservammo un fenomeno, quello del calore in eccesso, e lo descrivemmo molto precisamente, ma se si voleva capire da cosa fosse causato, bisognava sviluppare una strategia apposita”. Secondo Fleishmann “i progressi sulla fusione fredda in questi vent’anni sono stati limitati perchè non si è lavorato su abbastanza e questo temo a causa della mancanza di fondi che permettessero di analizzare il fenomeno in maniera approfondita.
Gli stessi giovani – osserva – sono pochi perchè loro, soprattutto, hanno bisogno di vedere degli investimenti concreti”. E ancora, denuncia lo scienziato, “per anni la comunità fisica si è sempre schierata contro questo tipo di ricerca. Solo ora si vedono i primi segnali di apertura, soprattutto in Italia, dove ci sono persone capacissime di portare avanti questo programma”
“Noi osservammo un fenomeno, quello del calore in eccesso, e lo descrivemmo molto precisamente, ma se si voleva capire da cosa fosse causato, bisognava sviluppare una strategia apposita”. Secondo Fleishmann “i progressi sulla fusione fredda in questi vent’anni sono stati limitati perchè non si è lavorato su abbastanza e questo temo a causa della mancanza di fondi che permettessero di analizzare il fenomeno in maniera approfondita.
Gli stessi giovani – osserva – sono pochi perchè loro, soprattutto, hanno bisogno di vedere degli investimenti concreti”. E ancora, denuncia lo scienziato, “per anni la comunità fisica si è sempre schierata contro questo tipo di ricerca. Solo ora si vedono i primi segnali di apertura, soprattutto in Italia, dove ci sono persone capacissime di portare avanti questo programma”