I cultori del lavoro precario a termine, che hanno preso il sopravvento sostenuti da politici yuppie, potranno avere, anche se difficilmente lo capiranno, motivi di soddisfazione da una sentenza che viene dall’Umbria.
Il Tribunale, ha riferito il legale, ha condiviso tale impostazione e ha condannato le Poste a reintegrare la lavoratrice a tempo indeterminato e a pagarle tutte le retribuzioni arretrate dal 2005 e precisamente dalla data in cui, con lettera spedita dall’avv. Centofanti, aveva offerto formalmente le sue prestazioni lavorative.
«La sentenza è significativa – ha commentato il legale – perchè ha rilevato la nullità della clausola a termine sulla base di una innovativa impostazione di tipo procedurale, affermando così un principio che può valere anche per casi analoghi di lavoratori precari.
Lo scandalo di assunzioni a termine, proprio da parte di imprese a maggioranza di capitale pubblico, per lavori che invece sono a tempo indeterminato e che sono attuate solo per risparmiare, a danno dei servizi da erogare, e poi magari fanno vedere che ci sono più occupati, perché un lavoro annuale è diviso per quattro, ha subito un altro stop, un’altra occasione per fermarsi, da parte del mondo politico ed imprenditoriale, in tempo.