Secondo l’ultimo rapporto del Censis siamo dentro una seconda metamorfosi, dopo quella degli anni fra il 1945 ed il 1975. E in questo nuovo cambiamento, fra i tanti fattori, avrà grande importanza la componente competitiva del territorio. I destini di un territorio dipenderanno cioè sempre più dalla capacità di iniziativa e innovazione dei suoi attori (amministratori, imprese e forze sociali) e dalla loro abilità a stimolare conoscenze e competenze e a valorizzare risorse locali. Ma il Censis va oltre e arriva a prevedere che il contesto economico sarà sempre più condizionato da quello sociale e auspica il superamento della tendenza, molto accentuata in questi ultimi anni, a vivere individualisticamente e senza tensione e ci invita a condividere obiettivi e impegni comuni. A differenza di come si comporta la classe dirigente (non solo quella politica), che, sempre secondo il rapporto sopra citato, “tende a riservare le decisioni a sfere di responsabilità molto ristrette e le rattrappisce al breve termine”, bisognerebbe allargare l’orizzonte, tendere a una maggior apertura sociale e “recuperare una dinamica fatta da tanti soggetti, per uscire collettivamente dalla crisi”. Questo studio ci induce ad analizzare la situazione produttiva ed economica locale con uno sguardo diverso e a ragionare su alcune pre-condizioni che dovremmo costruire per migliorare le possibilità di successo del nostro territorio, consapevoli che non sarà più sufficiente adagiarsi sulla speranza che prima o poi arriverà la ripresa generale, che trascinerà anche noi.
La prima pre-condizione potrebbe essere quella di creare una nuova relazionalità, una migliore qualità dei rapporti tra gli attori locali, capace di coinvolgere cioè quelle risorse culturali, tecniche, scientifiche, imprenditoriali e sociali, anche e soprattutto se non organiche al sistema politico istituzionale e non stimolate da diretti interessi economici. Così ci potremmo avvalere del contributo di esperti liberi e creare le condizioni per fare scelte in direzione del bene comune e non per convenienze reciproche. Non sarebbe difficile, basterebbe stimolare l’interesse di studiosi; di imprenditori che, anche se nel loro piccolo, hanno fatto innovazione e che magari sono fuori dal circuito istituzionale; di professionisti, tecnici o manager che potrebbero aver fatto esperienze importanti fuori regione o all’estero, oppure che sono rimasti qui e hanno competenze che non vengono valorizzate. Queste persone sono più numerose di quanto si possa immaginare. Se proprio non riusciamo a formare una classe dirigente composta dai migliori, almeno proviamo ad avvalerci del contributo dei migliori.
Una seconda pre-condizione è quella del superamento di una visione troppo localistica, non solo nel senso di aprirsi alle regioni limitrofe, ma ponendosi anche in una nuova visione regionale, su cui realizzare le riforme degli assetti istituzionali e dei servizi pubblici a rete. Lo sviluppo dipende dalla qualità delle istituzioni e quindi dalle riforme, che saranno efficaci se semplificheranno, unificheranno e creeranno le condizioni per una maggior qualità dei servizi e per una migliore integrazione fra livelli istituzionali, non solo locali ma anche regionali. Questa logica dovrebbe sconfiggere la vocazione accentratrice del governo regionale e rilanciare il policentrismo, costruito però sulla concezione che l’unione fa la forza e non sulla separazione. È l’Umbria, o meglio ancora, l’Italia Centrale a doversi creare una propria immagine, attraverso il concorso dei suoi territori, che poi dovranno essere valorizzati per le proprie peculiarità e potenzialità.
Tutto quanto detto finora ci dovrebbe spingere ad avere una presunzione: quella di anticipare, una volta tanto, i tempi e iniziare a costruire in questo territorio, prima degli altri, un modello economico nuovo e sostenibile. E quindi proporsi, ad esempio, come laboratorio sulle energie rinnovabili, sull’utilizzo e valorizzazione delle risorse territoriali e culturali, sulle politiche urbanistiche orientate al recupero invece che alla continua espansione, sulla costruzione di poli di eccellenza di alcuni settori che hanno caratterizzato il nostro sistema produttivo, su nuove colture agricole, magari biologiche, che avranno un grande spazio in futuro (sembra poco compatibile la prosecuzione della coltivazione del tabacco, anche se di qualità, con l’idea di caratterizzarsi come territorio orientato all’ecologia e all’innovazione in agricoltura). Tutto questo presuppone collaborazione, apertura e coinvolgimento di tutte le risorse. Noi con questo forum vorremmo iniziare una riflessione a questo livello e suscitare il contributo di tutti coloro che si sentissero stimolati.