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Un chilo di residui della preparazione della bevanda potrebbe produrre tanto carburante quanto 0,20 chilogrammi di petrolio

Forse gli italiani, che sono grandi consumatori di caffè, non si rendono conto che stanno buttando nella spazzatura, dopo aver sorbito la bevanda, l’equivalente dell’11-20% del petrolio che consumano ogni anno.
I residui della preparazione del caffè possono, infatti, rappresentare una fonte abbondante, economica nonché ecologica di biocombustibile per l’alimentazione dei veicoli: è quanto sostengono i ricercatori dell’Università del Nevada a Reno in uno studio pubblicato online dal “Journal of Agricultural and Food Chemistry”, organo dell’ American Chemical Society’s (ACS).

Nel corso della ricerca di studiosi hanno raccolto i fondi di caffè dalle catene di caffetterie multinazionali e li hanno ulteriormente spremute per ottenere un olio, da cui hanno ricavato poi biocombustibile con un processo a basso costo.
Il prodotto ha anche il vantaggio di essere molto più stabile dei tradizionali biocombustibili in virtù del più alto contenuto di antiossidanti.

Inoltre, i rifiuti solidi della conversione possono a loro volta essere inseriti in un processo per la produzione di etanolo o essere utilizzati come fertilizzanti o come compost.
I ricercatori hanno anche stimato le dimensioni del mercato e dei profitti che il processo potrebbe generare: si parla di circa 8 milioni di dollari all’anno nei soli Stati Uniti.
Per verificare la possibilità almeno parziale di dare il via a un simile mercato, è stato avviato un impianto pilota per produrre in via sperimentale combustibile per i prossimi 6-8 mesi.

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