L’artrite reumatoide è diagnostica tardi e curata male. Il primo rapporto del Censis sulla malattia, promosso dall’Anmar (Associazione nazionale malati reumatici) e dalla Sir (Società italiana di reumatologia), con il sostegno della Roche, traccia un quadro preoccupante.
I pazienti attendono in media 11,7 mesi per ottenere una diagnosi, ma la conferma da parte di un reumatologo arriva anche dopo 2 anni.
Questi dati potrebbero essere anche troppo ottimistici per le popolazioni della Usl 2. Per l’azienda sanitaria che interessa anche la media valle del Tevere la figura del reumatologo è scomparsa dalle liste d’attesa e dall’elenco delle prestazioni fruibili.
Eppure l’indagine, condotta su 646 pazienti, rivela che oltre il 37% dei malati assume solo farmaci sintomatici e cortisonici che alleviano i sintomi ma non modificiano il decorso della malattia. Solo il 59,9% dei pazienti si cura con farmaci di fondo DMARDs e appena il 7,4% ricorre ai farmaci biologici, in grado di bloccare la progessione della malattia.
La diagnosi è per di più avvolta nell’incertezza, perchè il 40,6% dichiara che gli sono stati riscontrati dubbi e per il 60% i sintomi sono stati confusi con malattie quali artrosi e dolori reumatici generici. Il 70% del campione ritiene inoltre di non avere informazioni sufficienti sui servizi a propria disposizione e solo il 17,3% frequenta i centri reumatologici ospedalieri e universitari.
Tutto ciò ha gravi risvolti sociali ed economici: più della metà dei pazienti vive spesso periodi di depressione e l’83,7% è preoccupato del rischio invalidità; la qualità della vita peggiora al punto di lasciare il lavoro, smettere di guidare e perfino ridurre la vita sessuale.
Le giornate di queste persone diventano un percorso a ostacoli pieno di rinunce: il 42,9% del campione ha dovuto smettere di viaggiare e praticare i propri hobby, il 31,9% trova difficile aprire un barattolo e il 14,7% ha difficoltà a girare la chiave nella serratura.
I costi diretti per l’assistenza e i costi indiretti (mancati redditi da lavoro e persone che hanno prestato assistenza gratuita) sono in media superiori a 11.000 euro l’anno per paziente, una cifra che potrebbe notevolmente essere ridotta se la malattia fosse diagnostica in tempo utile e curata adeguatamente.
Il Rapporto, poi, ‘tira le orecchie’ al mondo dei media. Il 60% degli intervistati sostiene che sull’argomento c’è scarsa informazione, mentre un altro 73% crede che sia l’informazione sui servizi a disposizione del malato ad essere carente.
I pazienti chiedono infine un potenziamento delle strutture (48%), ma anche sgravi fiscali (34%) e più visite ambulatoriali (32%).