Sarà dedicata a “I Serafini da Todi” la mostra in programma, dal 23 al 26 giugno, alla trentasettesima edizione de “L’Artistica” a Piedicolle di Collazzone, tradizionale appuntamento promosso dalle ACLI.
La mostra intende onorare la memoria del pittore tuderte Ugo Serafini scomparso nel 1994. Nella mostra sono però esposti anche i quadri del figlio Enzo, pittore e poeta, scomparso nel 1985, e quelli dei figli Gianni e Sergio. Da qui il titolo.
“Chi ha conosciuto e frequentato Ugo Serafini – ci dice Sante Filippetti, anima dell’iniziativa – non può dimenticare l’uomo ed il pittore, per la vivacità della sua natura, l’estrosità del suo comportamento, l’acutezza e simpatia della sua battuta, ma, soprattutto, il suo modo appassionato e gaudente di vivere. Ugo era veramente innamorato della vita e di tutto ciò che essa ti può offrire e, per questo, autentico amante della natura, cultore del bello, appassionato della musica, perenne sottofondo della sua attività creativa”.
La pittura di Ugo Serafini è un tripudio di colori e forme che esaltano la natura con occhio di amante; il cosiddetto realismo della sua opera assume un significato del tutto particolare: quella da lui rappresentata è un a realtà vista con l’atteggiamento dell’edonista che sa ritrarla nel suo aspetto apollineo, come un bel complesso di elementi creati per l’umana felicità.
In una intervista rilasciata al giornalista della Nazione Smuraglia, il pittore diceva, nel 1975, “la pittura è lo scopo principale della mia vita: dipingo soprattutto per me, ma anche per gli altri, perseguendo costantemente uno scopo, quello di riportare alla realtà tutti coloro che tentano di sfuggirla, forse perché afflitti dalla noia, dalla paura che viene senza dubbio dall’incertezza dell’oggi; nelle espressioni molteplici in cui si manifesta la natura ritrovo la pace, l’equilibrio interiore, continuamente minacciato dal qualunquismo”.
Il laboratorio dove nascevano le sue opere era ubicato negli ampi locali dei Frati attigui alla Chiesa dei Cappuccini stessi a Todi. Dai racconti dell’Artista che non era avaro di commenti e di riferimenti alla sua formazione artistica trapelava l’ammirazione per il suo maestro Colombari, esimio pittore romano che nel periodo della sua residenza a Todi gli trasmise tutti i segreti dell’arte pittorica.
Nel 1931 il giovane pittore Ugo Serafini realizzava a Bologna la sua prima mostra. Nelle sue opere dominava il gusto del paesaggio riprodotto nella perfetta ed oleografica tecnica del realismo magico che riconduce ai modelli del paesaggio del “600” e, soprattutto , del “700”. Alla mostra di Bologna seguirono numerosissime mostre in altre città italiane ed anche una prestigiosa esposizione a Montecarlo.
Lo stile di Serafini si è trasformato nel tempo e la sua produzione si è maturata nella scelta di tecniche sempre diversificate.
Dagli anni 60, pur rimanendo fedele ai soggetti veristi, sperimenta con successo un modo di dipingere abbreviato e macchiato che rompe con le convenzioni pittoriche della scuola del Realismo tradizionale, manifestando anche la profonda emozione che su di lui aveva esercitato la grande lezione della Macchia.
Realizza con grande efficacia nature morte e paesaggi, con la tecnica dell’abbozzo tracciato con rapide pennellate o con macchie di colori contrastanti che diventano straordinariamente “ figurative “.
Alla tecnica dello spatolato pervenne negli anni “ 70”, producendo opere di grande efficacia ed originalità. Nel dipingere a spatola il pittore seguiva il metodo che da sempre aveva realizzato nel dipingere; non preparava mai il disegno o lo schema di un’opera. Il pennello disegnava magicamente la tela immacolata. La sua realtà “sognata” continua ad allietarci da quei tranquilli paesaggi umbri o da quei tripudi policromi delle nature morte e soggetti floreali che si ha modo di godere solo negli ambienti rivieraschi di quella Liguria da Lui tanto amata e che continuò a vagheggiare nella sua lunga malattia.
La passione per l’arte e l’amore per la cultura hanno coinvolto in vari modi ed età della vita i tre figli di Ugo Serafini: Enzo, Gianni e Sergio.
Fecondo poeta e prosatore Enzo ha pubblicato diverse raccolte di poesie e prose nelle quali ha espresso un animo pensoso, sensibile e orientato a cogliere i problemi del sociale ed in genere della convivenza umana.
Nella pittura Enzo ha saputo con efficacia rappresentare le ricerche formali, cromatiche e contenutistiche di un carattere ansioso di percorrere nuovi itinerari stilistici verso inedite frontiere; orientato verso l’informale e teso a superare il figurativo ha creato la sua formula definendola: “cromo-cosmo-pittura” secondo una tecnica che ha nella ricerca cromatica il suo punto di forza.
Gianni ha trovato nella piena maturità una attenzione all’attività pittorica nella quale, come in quella di Enzo, si ravvisa una sensibilità per il colore che è la felice eredità che il pittore Ugo ha lasciato ai suoi figli.
Rispetto alle ricerche innovative tentate dai fratelli, Gianni si cimenta in un figurativo con tendenze impressionistiche che trova i suoi soggetti più significativi nei paesaggi e nelle nature morte.
I temi sono elaborati con puntigliosa precisione e con sfumature melanconiche nel cromatismo e di sapore decadente nelle ambientazioni.
In alcuni soggetti floreali ritorna il tripudio del naturalismo di Ugo, ma sono ritorni di maniera di chi ha visto fin dalla giovinezza la lussureggiante visione del naturalismo del padre.
Dei tre figli il più tecnico è Sergio, pittore d’accademia, dove ha appreso la precisione quasi maniacale dei dettagli in una girandola di punti, linee con cromatismi originali e infinitamente ricercati.
Le sue pitture su vetro sono come una paziente e inesauribile ricerca di circondare la materia inerte con una gabbia di ricami che le danno vita e colore.
Il percorso creativo di Sergio è di grande interesse: l’opera non nasce da un’idea esterna o da un soggetto determinato ma dalla prima pennellata su tela o vetro, intorno alla quale si scatena un susseguirsi di temi cromatici che si intessono anche a più riprese.
Le sue tele sono vagamente figurative: quella di Sergio, a guardare i suoi quadri, è una personalità sognante che vede la realtà in modo magico e talvolta onirico; visioni architettoniche nate con forme precise ma sfumate nell’irreale con colori e forme più immaginarie che reali. Vicoli, archi, case e chiese divengono, nei colori più smaglianti, aspetti di un paese favoloso dove si rintraccia una realtà, ma si preferisce evadere nel sogno.