Il disegno di legge costituzionale recante ” Modifiche agli articoli 59, 88, 92 e 94 della Costituzione per l’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei ministri, il rafforzamento della stabilità del Governo e l’abolizione della nomina dei senatori a vita da parte del Presidente della Repubblica”, d’iniziativa del Governo Meloni-I di destra-centro (FdI, LSP, F, NM (IaC-RI) e a firma di Meloni Giorgia (Presidente del CdM) e Alberti Casellati Maria Elisabetta (Ministra senza portafoglio per le riforme istituzionali e la semplificazione normativa), era stato presentato al Senato della Repubblica il 15 novembre ’23 in un testo composto di 5 articoli. Tale atto d’iniziativa governativa aveva preso il n. S.935, era stato assegnato alla 1ª Commissione permanente (Affari Costituzionali) in sede referente il 21 novembre e aveva assorbito in Commissione l’altro d.d.l cost. n. S.830 recante “Disposizioni per l’introduzione dell’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei ministri in Costituzione” d’iniziativa dei senatori Renzi ed altri già presentato il 1° agosto ’23. Il d.d.l. governativo, con relatore il Sen. Alberto Balboni (FdI), era stato trattato in varie sedute della Commissione fino al 21 febbraio ’24 con alcune proposte di modifiche (n. 9) e di integrazioni (n. 3 nuovi articoli) del testo base.
Il d.d.l. costituzionale è stato poi trattato nell’aula di Palazzo Madama con relatore di maggioranza sempre il sen. Alberto Balboni (FdI), nominato il 24 aprile ’24 e che ha illustrato e proposto il testo come modificato in Commissione. Il d.d.l. è stato infine approvato dal Senato della Repubblica il 18 giugno ’24, in sede di prima deliberazione (art. 138 Cost.), nel testo composto di n. 8 articoli limitandosi di fatto a recepire le modifiche e integrazioni approvate dalla competente Commissione. In pari data tale d.d.l. cost. è stato trasmesso dal Presidente del Senato alla Camera dei Deputati sempre per la prima deliberazione. Il 19 giugno lo stesso è stato assegnato, con il n. A.C. (Atto Camera) 1921 e in abbinamento con il d.d.l. C. 1354 d’iniziativa dei deputati Boschi e altri già presentato il 2 agosto ’23, alla I Commissione Affari costituzionali della Camera per l’esame in sede referente. L’esame è iniziato il 4 luglio scorso con relatore in Commissione l’On. Nazario Pagano (F.I.) e con le audizioni di professori di diritto costituzionale e pubblico fino al 6 agosto scorso. Lo stesso atto è stato anche assegnato al parere della Commissione II Giustizia.
Nell’Assemblea del Senato della Repubblica, come proposto dalla 1ª Commissione e poi approvato in aula per ogni articolo del d.d.l., è stato innanzitutto rettificato, il titolo del disegno di legge eliminando il riferimento ai singoli articoli della Costituzione da modificare e sostituendolo con la dizione “Modifiche alla parte seconda della Costituzione per l’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei ministri,……..”.
All’art. 1 è stata modificata la rubrica dello stesso con la seguente: “Abrogazione del secondo comma dell’articolo 59 della Costituzione” in quanto l’articolo non si limita a modificare ma provvede ad abrogare integralmente la norma costituzionale che conferisce al Presidente della Repubblica, il quale rappresenta l’unità nazionale (art. 87 Cost.), il potere di nominare senatori a vita cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario e peraltro stabilisce che il numero complessivo dei senatori in carica nominati dal Presidente della Repubblica non può in alcun caso essere superiore a cinque. Tale secondo comma era stato solo di recente così sostituito dall’art. 3 della l.c. n. 1 dell’ottobre ’20 in materia di riduzione del numero dei parlamentari (Governo Conte II– M5S, PD, LeU, IV, MAIE) da complessivi 945 a 600, di cui 200 componenti elettivi del Senato, oltre agli ex Presidenti della Repubblica come senatori a vita di diritto salvo rinuncia e ai fino a cinque senatori a vita nominati dal Presidente della Repubblica. L’abolizione dei cinque senatori a vita determina un notevole ridimensionamento del ruolo del Capo dello Stato. Con la norma transitoria di cui all’art. 8, comma 1, del d.d.l. i senatori a vita già nominati prima dell’entrata in vigore di questa nuova legge costituzionale resteranno comunque in carica.
Il Senato ha poi inserito un nuovo art. 2 recante in rubrica “Modifica all’articolo 83 della Costituzione“, relativo alla procedura di elezione del Presidente della Repubblica da parte del Parlamento in seduta comune a scrutinio segreto e ampliato con la partecipazione di tre delegati per ogni Regione eletti in modo da assicurare la rappresentanza delle minoranze (tranne la Valle d’Aosta con uno solo e così per un totale di 58 delegati dei Consigli regionali) in gergo giornalistico chiamati”grandi elettori”. La modifica stabilisce che, per l’elezione del Capo dello Stato, la maggioranza di due terzi dell’Assemblea (in genere più ampia della maggioranza governativa) è necessaria non più fino al terzo ma fino al sesto scrutinio segreto, facendo così diventare sufficiente la maggioranza assoluta (metà più uno) dell’Assemblea dal settimo scrutinio in poi. Tale modifica sembrerebbe voler valorizzare la figura del Presidente della Repubblica che, se eletto con la maggioranza di due terzi dell’Assemblea, apparirebbe di più il Presidente di tutti (come chiedevano i Padri costituenti) e non solo di chi lo elegge, come quasi sicuramente però continuerà ad avvenire dato che la seduta assembleare per l’elezione, presieduta dal Presidente della Camera, è unica con semplici interruzioni e quindi l’elezione a maggioranza assoluta di fatto resterà la regola solo con un piccolo ritardo di tempo. Gli unici casi di elezione entro i primi tre scrutini dei n. 12 Presidenti della Repubblica Italiana sono stati solo quelli di E. De Nicola (PLI) Capo provvisorio dello Stato dal luglio ’46 e Presidente della Repubblica dal gennaio ’48, dopo l’elezioni per l’Assemblea costituente e il referendum istituzionale del 2 giugno ’46, poi quelli di F. Cossiga (DC) nel luglio ’85 e di C. Azeglio Ciampi (Indipendente) nel maggio ’99.
Nel successivo art. 3 (ex art. 2 del d.d.l. governativo) recante in rubrica “Modifiche all’articolo 88 della Costituzione” in particolare è stato aggiunto un ulteriore comma che modifica anche il secondo comma del citato articolo. La modifica consiste nel fatto che, fermo restando che la facoltà del Presidente della Repubblica di sciogliere le Camere non può essere esercitata negli ultimi 6 mesi (c.d. “semestre bianco“) del suo mandato (che si ricorda è settennale, art. 85 Cost.), l’eccezione non è più quella “salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultime sei mesi della legislatura” la quale, dopo la legge cost. n. 2 del 1963, dura 5 anni per entrambe la Camere (art. 60 Cost.) bensì quella nuova “salvo che lo scioglimento costituisca atto dovuto.“. Pertanto anche durante il semestre bianco il Capo dello Stato sarà tenuto a sciogliere le Camere come “atto dovuto” nei casi previsti dal nuovo art. 94 Cost. di cui appresso.
E’ stato anche inserito un nuovo art. 4 recante in rubrica “Modifica all’articolo 89 della Costituzione”con cui è stato sostituito il primo comma di tale articolo disponendo che, fermo restando che gli atti del Presidente della Repubblica sono controfirmati dai ministri proponenti i quali ne assumono la responsabilità, non devono più essere controfirmati (divenendo quindi di piena responsabilità Presidenziale) gli atti di nomina del Presidente del Consiglio dei ministri (sic!), di nomina dei giudici della Corte costituzionale, di concessione della grazia e la commutazione delle pene, di indizione delle elezioni e dei referendum, i messaggi e il rinvio delle leggi alle Camere. La nomina del Presidente del Consiglio dei ministri da parte del Capo dello Stato è attualmente prevista nel vigente art. 92, secondo comma, Cost. che però viene interamente sostituito cancellando tale importante potere come di seguito illustrato. Ora la suddetta previsione di atti di nomina del Presidente del Consiglio appare come un pasticcio in contrasto con il sistema dell’elezione diretta del Presidente stesso. Con il nuovo art. 94 Cost., commi settimo e ottavo, infatti il Capo dello Stato può solo conferire l’incarico di formare il Governo ad un parlamentare eletto in collegamento con il Presidente del Consiglio.
Nel successivo art. 5 (ex art. 3 del d.d.l. governativo) recante in rubrica “Modifica dell’articolo 92 della Costituzione“ attualmente suddiviso in soli due commi, è stata disposta la sostituzione dell’intero articolo lasciando invariato solo il primo comma sulla composizione del Governo. L’attuale secondo comma dell’art. 92 vigente sin dall’approvazione della Costituzione della Repubblica Italiana, promulgata il 27 dicembre 1947 dal Capo provvisorio dello Stato Enrico de Nicola e controfirmata dal Presidente dell’Assemblea Costituente U. Terracini e dall’allora Presidente del Consiglio dei Ministri A. De Gasperi (Governo De Gasperi IV di Centrismo (DC-PSLI-PLI-PRI), prevede la nomina del Presidente del Consiglio dei ministri da parte del Presidente della Repubblica che, su proposta, dello stesso nomina anche i ministri. Il nuovo testo del secondo comma contiene la principale novità prevedendo l’elezione a suffragio universale e diretto del Presidente del Consiglio per cinque anni, contestualmente alle elezioni del Parlamento e per non più di due legislature consecutive. Il limite dei due mandati viene però elevato a tre nel caso in cui nelle due legislature precedenti il Presidente del Consiglio abbia ricoperto l’incarico per un periodo inferiore a sette anni e sei mesi. Il marchingegno tradisce implicitamente il fatto che anche il Capo del Governo eletto direttamente corre il rischio di cadere anticipatamente, nonostante nel titolo del d.d.l. sia scritto di modifiche per” il rafforzamento della stabilità del Governo“. Inoltre dodici anni e mezzo continuativi di guida del Governo di una Repubblica democratica (art. 1 Cost.) da parte di uno/a stesso/a Presidente del Consiglio appaiono non certo pochi, se non addirittura rischiosi. Neanche i sette Governi consecutivi De Gasperi II-VIII della nuova Repubblica italiana, proclamata il 2 giugno 1946, arrivarono a durare tanto. Il nuovo terzo comma di tale articolo interviene in materia elettorale stabilendo che la legge ordinaria, a modifica costituzionale approvata, dovrà disciplinare il sistema per l’elezione delle Camere e del Presidente del Consiglio, ma aggiungendovi che la stessa dovrà assegnare un premio su base nazionale (il c.d. premio di maggioranza). Tale premio dovrebbe appunto garantire una maggioranza di seggi in ciascuna Camera alle liste e ai candidati collegati al Presidente del Consiglio, nel rispetto del principio di rappresentatività e di tutela delle minoranze linguistiche. Questo vincolo legislativo appare però impropriamente inserito in Costituzione essendo la materia dei sistemi elettorali tipica della legge ordinaria e suscettibile di variazioni anche frequenti proprio in relazione ai mutevoli assetti e schieramenti delle forze politiche. Nel nuovo quarto comma è anche specificato che il Presidente del Consiglio è eletto nella Camera ove ha presentato la candidatura e quindi è sempre un parlamentare, chiudendo così la porta alla soluzione dei Capi di Governo tecnici che pure è risultata valida e utile in varie circostanze. Il nuovo quinto comma prevede che il Capo dello Stato conferisce al Presidente del Consiglio eletto l’incarico di formare il Governo (una sorta di contentino formale dopo avergli tolto il potere di nomina ?) e che lo stesso Capo dello Stato, continua a nominare i ministri su proposta del Presidente del Consiglio con l’aggiunta che potrà anche revocarli ma sempre su proposta del Capo del Governo eletto.
È stato inoltre inserito un nuovo art. 6 recante in rubrica “Modifica all’articolo 57 della Costituzione“ sull’elezione del Senato a base regionale con l’aggiunta al primo comma delle parole ” e salvo il premio su base nazionale previsto dall’articolo 92.”.
Nel successivo art. 7 (ex art. 4 del d.d.l. governativo) recante in rubrica “Modifiche all’articolo 94 della Costituzione“, attualmente suddiviso in cinque commi, è restata ferma la sostituzione del terzo comma riscritto dal d.d.l. governativo sulla necessità per il Governo di ottenere la fiducia del Parlamento entro dieci giorni dalla formazione e con l’aggiunta che ove non fosse approvata la mozione di fiducia è previsto l’obbligo di rinnovo dell’incarico di formare il Governo al Presidente eletto direttamente e solo in caso di ulteriore mancato ottenimento della fiducia è previsto lo scioglimento delle Camere da parte del Presidente della Repubblica. Il nuovo sesto comma aggiunto dal d.d.l. governativo è stato invece completamente riscritto dalla 1ª Commissione e poi approvato in aula con ulteriori modifiche a partire dalla scissione in tre commi (per un totale di otto commi del nuovo art. 94 Cost.). Il nuovo sesto comma disciplina il caso di revoca della fiducia mediante mozione motivata, che porta alle dimissioni obbligatorie del Presidente del Consiglio e allo scioglimento delle Camere da parte del Presidente della Repubblica. Il nuovo settimo comma nel primo periodo prevede invece che negli altri casi di dimissioni del Presidente del Consiglio eletto lo stesso, entro sette giorni e previa informativa al Parlamento, può chiedere lo scioglimento delle Camere al Capo dello Stato, che lo dispone e cioè che deve disporlo (scioglimento come atto dovuto addirittura anche nel c.d. “semestre bianco” di cui al citato nuovo secondo comma dell’art. 88 Cost.). Questo nuovo potere discrezionale del Capo del Governo di far sciogliere anticipatamente le Camere negli altri casi di sue dimissioni appare abnorme e volto ad eventualmente “domare” e comunque sminuire ulteriormente il rango del massimo organo rappresentativo di una Repubblica democratica come il Parlamento, che con questa norma potrebbe di fatto essere sciolto dal Capo del Governo. Il potere di scioglimento delle Camere è invece finora posto esclusivamente in capo al Presidente della Repubblica, quale organo garante della Costituzione ed anzi si configura come uno dei due pilastri della Repubblica parlamentare insieme a quello del Governo nominato dal Capo dello Stato che deve godere della sua fiducia e di quella del Parlamento. Ma il nostro Paese con questa anomala e rischiosa riforma dell’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei ministri sarà ancora una Repubblica parlamentare o qualcos’altro ? Lo stesso settimo comma nel secondo periodo prevede invece che in caso di dimissioni del Capo del Governo senza sua richiesta di scioglimento delle Camere, il Presidente della Repubblica deve conferire, per una sola volta durante la legislatura, l’incarico di formare il Governo al Presidente del Consiglio dimissionario oppure ad un parlamentare eletto in collegamento con il Presidente stesso. Il marchingegno appare come una vistosa deroga al principio dell’elezione diretta del Capo del Governo, che sembra volta più ad un puntellamento che al declamato rafforzamento della stabilità del Governo, anche se probabilmente è stata gradita dai senatori che l’hanno votata e che così riuscirebbero a completare il loro mandato quinquennale. Infine il nuovo ottavo comma disciplina i casi di decadenza, impedimento permanente o morte del Presidente del Consiglio eletto, stabilendo che il Presidente della Repubblica, per una sola volta durante la legislatura, deve conferire l’incarico di formare il Governo a un parlamentare eletto in collegamento con il Presidente del Consiglio, anche se in netta contraddizione con il principio dell’elezione diretta del Capo del Governo.
Infine nel nuovo art. 8 (ex art. 5 del d.d.l. governativo), recante norme transitorie e rimasto sostanzialmente invariato, al comma primo è previsto che i senatori a vita, già nominati ai sensi dell’art. 59 secondo comma Cost. nel testo previgente all’entrata in vigore di questa nuova legge costituzionale, restano in carica. Al comma secondo è anche previsto che questa legge costituzionale si applicherà solo a decorrere dal primo scioglimento o dalla prima cessazione delle Camere successivi alla data di entrata in vigore della disciplina per l’elezione del Presidente del Consiglio e delle due Camere (evidentemente da dettarsi con successiva legge ordinaria).