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In occasione della giornata di studi sullo "007" impegnato nel recupero delle opere d'arte trafugate, non poteva mancare un ricordo delle frequentazioni che ebbe nella città di Jacopone, dove stimolò la nascita della Mostra Antiquaria
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Perugia, 21 gennaio 1954, nei locali affrescati dell’accademia dei Filedoni a Palazzo Cesaroni, si svolge il secondo vertice per la restituzione delle opere d’arte sottratte al patrimonio nazionale italiano prima e durante l’occupazione nazista. Al tavolo delle trattative siedono Rodolfo Siviero come rappresentante del governo italiano per le restituzioni e Friedrich Jantz, segretario generale della Cancelleria del governo Adenauer, inoltre son presenti alcuni  diplomatici  dei paesi coinvolti.

L’argomento da derimere è la restituzione del “Gruppo Bottai”,  un notevole numero di opere d’arte trasferite in Germania nel clima di  consenso alla svolta filogermanica del fascismo italiano. L’argomento è estremamente controverso, il console tedesco porta documenti dove risulta che Bottai, ministro dell’educazione nazionale ,  aveva agevolato  l’esportazione in Germania di queste opere e difronte ai mugugni del mondo intellettuale, difese la scelta asserendo che in fondo questi dipinti non erano così importanti,   parliamo di opere di Sebastiano del Piombo, Veronese, Antonio del pollaiolo ed altri grandi artisti italiani.

Al vertice  Rodolfo Siviero si dimostra come sempre un abile interlocutore ed infine prevale il buon senso di tutti:  il “gruppo Bottai” tornerà in Italia ed il console Jantz, come gesto di buona volontà ed aggiungo  come rappresentante di un  poco difendibile paese sconfitto ,  aggiungerà un opera non in elenco.

In ogni caso per sancire il clima di amicizia e collaborazione instaurato durante il vertice, al termine  la delegazione decide di fare una gita a Todi. Nel Gennaio del 1954 arrivare da Perugia giungere a Todi non è esattamente una passeggiata, la via piu diretta  è la strada collinare marscianese,  inoltre nevischia e fa freddo, agli occhi dei visitatori Todi appare in cima al colle già un po imbiancata. Di quella gita nel suo diario Siviero scrive: “ …Alla fine visitammo Todi, la bella città di Jacopone,che con le sue chiese e le sue testimonianze di civiltà sembrava giustificare nello  spirito dei tedeschi la restituzione dei capolavori all’italia. Todi è, per chi conosce bene la nostra civiltà, la città di confine dell’arte umbro-toscana con il Lazio. Jantz e i tedeschi ne erano entusiasti. Sui tetti bruciati dai secoli, di colore scuro, la neve che si proteggeva dal vento ai bordi dei tegoli, sembrava far rivivere con gaiezza la vita medioevale della città, che assumeva un volto unico e vivo. Credo che un giorno, quando questo lavoro sarà finito e l’Europa sarà unita, ci rincontreremo qui con Jantz a parlare di Hitler, di Adenauer, dei capolavori italiani, ambedue cittadini di Todi “ Per me queste poche righe sono il primo atto d’amore di Rodolfo Siviero verso la nostra città.

Al di là di questa lirica descrizione, negli anni ’50 Todi non è in una situazione idilliaca, l’economia è caratterizzata da  uno sviluppo industriale  inesistente, le preponderanti attività agricole ristagnano  col  perdurare della struttura mezzadrile, la città è difficilmente raggiungibile dai viaggiatori, ma nonostante queste condizioni sfavorevoli si presenta comunque con una notevole vivacità culturale ed artistica: due scuole di prim’ordine ,   il liceo classico e l’istituto agrario sono una  realtà di alto spessore culturale e tecnico riconosciuto a livello nazionale e  la storica istituzione delle  scuole di mestiere dell’Istituto Crispolti, forma artigiani artisti di alto profilo  tanto nell’ebanisteria, che nell’ l’intarsio e l’intaglio  per la realizzazione di  mobili in stile rinascimentale, si va caratterizzando una vera e propria eccellenza della tradizione artigianale tuderte.

In questa realtà locale di botteghe artigiane, tra vecchie e nuove, si distinguono due attività , quella di Romolo Valentini e quella dei Fratelli Zoccoli, Oreste ed Ernesto, già fondata da Leone Zoccoli nel  1905, queste attività si differenziano dalle altre  poiché affiancano alla realizzazione di arredi in stile rinascimentale, quella di  restauro di antichità, inoltre sono gli unici collettori di antiquariato presenti nel territorio, materiali da proporre ad una ristretta cerchia di antiquari di alto livello,  per lo più toscani e romani. Le due botteghe in quel periodo sono in società e la denominazione è  “ Valentini e Zoccoli”.

Fu proprio in quel periodo che Rodolfo Siviero, direi in seguito alla famosa gita dopo il vertice, iniziò a visitare regolarmente la nostra bottega dove legò in maniera particolare con mio zio Oreste, suo coetaneo, che era un vero e proprio maestro d’arte, le sue opere ad intaglio esprimevano una tale forza creativa che nessuno riusciva ad imitare in città ed inoltre eccelleva nella pittura e nell’intarsio, un vero genio artistico. Tra i due si creò, diremmo oggi, una forte empatia, invece con mio padre, notevolmente piu giovane, aveva un vero rapporto di affetto che con naturalezza si trasformò in  amicizia famigliare.

Nella fine degli anni ‘50  e per tutti gli anni ‘60, la bottega era diventata il punto di riferimento di mercanti d’arte di primo livello, un giro dove tutti si conoscevano e dove Rodolfo Siviero, che era  fuori da logiche mercantili, contava sul rapporto d’amicizia per essere informato in anticipo in occasione di proposte d’acquisto degli oggetti antichi che in  abbondanza uscivano dai palazzi nobili un po’ decadenti della città  o quando chiamati da qualche parroco di campagna per visionare materiali  che giacevano  ammassati nei fondi di conventi e canoniche.

Oggi possiamo dire che questo malcostume non esiste più,  ricordo che sul finire degli anni  ‘70 il prof. Bruno Toscano, noto accademico e storico dell’arte di origine spoletina, a dire il vero un po generalizzando stigmatizzò questa realtà  in un articolo  dal titolo eloquente “ i preti-tarlo che spogliano l’Umbria”, ovviamente sollevò  l’ira della chiesa umbra  e la risposta pubblica fu che nello stato italiano il patrimonio storico artistico della nazione era in condizioni pietose e per quanto riguarda le perdite e le spoliazioni, accadevano cose molto peggiori.

Per testimonianza di mio padre posso dire che i parroci a volte alienavano materiali ritenuti dismessi o in cattivo stato di conservazione, quindi  oramai inutilizzabili,questo  avveniva anche per scopi utilitaristici della parrocchia.  Con il senno di poi, penso che se tanti di quei manufatti  fossero rimasti in quei luoghi malsani per ancora per qualche anno, ora non esisterebbero più, questa evidenza storica ci deve far riflettere sulla necessità, per il futuro, di tutelare e salvaguardare  il  nostro patrimonio storico artistico.

Oltre a Siviero, anche l’antiquario aretino Ivan Bruschi, uno dei più importanti in Italia, era cliente della bottega, e varie volte Siviero e Bruschi  si presentavano accompagnati da  un  giovane Antonio Paolucci, allora assistente di Siviero, in futuro grande storico dell’arte e dal 2007 al 2016 direttore dei musei Vaticani, recentemente scomparso.

Per Siviero questa realtà di provincia, frequentare la nostra famiglia nella grande casa dai soffitti affrescati , la nostra bottega in una chiesa sconsacrata con affreschi del XIV secolo,  le varie amicizie che via via si aveva coltivato in città, erano diventate il suo piccolo mondo di mezzo tra Roma e Firenze, per rifuggire le angustie della politica romana, dove sostare durante gli spostamenti,  o a conclusione di operazioni condotte per il recupero di qualche opere d’arte rubata,  alle quali lui stesso partecipava in prima persona, evidentemente la sua verve giovanile  di agente segreto operativo non  era  ancora del tutto sopita.

Al termine di una di queste operazioni che si svolse a Foligno, il recupero dell’Efebo di Selinunte, una scultura greca in bronzo rubata nel 1962  dal municipio di Castelvetrano in Sicilia, Sivierò approfittò per passare da Todi e fermarsi a pranzo a casa nostra. Nella conversazione ci raccontò questa avventura dai risvolti romanzeschi : al seguito di complesse indagini della questura di Agrigento,  la polizia, sotto il comando del questore Ugo Macera, aveva predisposto l’operazione di recupero della statua: a tale scopo si rivolse a Siviero, suo amico e collaboratore, allora ritenuto la persona più esperta questo tipo di  operazioni nel mondo dei crimini dell’arte. Siviero ordì un piano e con il tempo si infiltrò nell’organizzazione fingendosi un ricettatore interessato all’acquisto della statua per fare uscire allo scoperto i colpevoli ed inscenò a Foligno una trappola magistrale trasformando una casa privata, messa a disposizione di un amico noto antiquario folignate, in un finto laboratorio di restauro. Convinse il capo della banda che il pezzo era troppo conosciuto ed era piu semplice ottenere un riscatto. Ci raccontò che l’ora dello dello scambio non era certa e per quasi due giorni, lui ed i vari agenti di polizia, rimasero nascosti o mimetizzati intorno alla villa, senza mangiare ne dormire. L’operazione si concluse con una sparatoria , vari feriti tra agenti di polizia ed i cinque malviventi e il recupero della statua.

Il capo della banda era un il numero due del mandamento della cosca mafiosa di Agrigento, tale Francesco Messia Denaro, e suo  figlio appena adolescente, Matteo,  già collaborava con la banda. In futuro sentiremo parlare di lui.  Io rimasi ipnotizzato da quel  racconto  e con la curiosità di bambino gli chiesi se mi faceva vedere la pistola, e lui me la mostrò! Aggiungo che l’antiquario di Foligno che collaborò con Siviero, che era anche un buon  cliente della bottega, venuto a conoscenza del fatto che non era una semplice banda di ladri, ma dei mafiosi, dalla paura si eclissò per mesi con l’aiuto di Siviero!

L’arrivo di Siviero a Todi era sempre preannuciato dal fattorino del centralino telefonico pubblico, la missiva recitava
“ urgentissima di stato” , così mio padre si recava al posto telefonico e Siviero prenotava le tagliatelle al sugo di rigaglie di pollo fatte in casa da mia madre, che adorava sopra ogni cosa. L’arrivo di “sua eccellenza”, come spesso veniva chiamato a Todi, per la nostra famiglia era sempre un evento, egli era una persona schietta e conviviale e soprattutto, forse perchè scapolo e quasi senza famiglia, aveva una passione per noi figli, in casa eravamo quattro tra fratelli e cugine, e non mancava mai di portarci regali che neanche a natale, inoltre era sempre presente  in occasione di cresime e comunioni dove portava in dono  stilografiche Mont Blanc e orologi d’oro.

La gratitudine della nostra famiglia nei suoi confronti era dovuta anche ad una storia tragica, infatti Siviero, grazie al suo ruolo di diplomatico,  si impegnò nella ricerca di notizie che testimoniassero l’internamento nel  famigerato lagher nazista di Ravensbruck, per motivi che non abbiamo mai potuto appurare,   di mia zia Elisa,  sorella di mio padre, infermiera poco piu che ventenne dell’ospedale di Todi. Era stata  precettata dal comando germanico per seguire un convoglio-ospedale fino a Venezia. Fu ritrovata nel 1946 grazie alle ricerche della contessa Bizzarri , delegata della croce rossa svizzera, Elisa era ricoverata in un ospedale austriaco per ex internati e versava in totale stato di totale follia, provata dalle privazioni del lager e dalla quale non si riprese mai più. Fu  grazie ad un  documento ritrovato da Siviero in un archivio del Terzo Reich, che  potè ottenere la pensione di ex internata.

Nelle sue escursioni tuderti, a volte Siviero  preferiva incontrare in forma conviviale amici ed antiquari all’osteria della Giannina al Vicolo Bello. Nel tempo ci siamo resi conto di quante persone conoscesse  a a Todi e c’è chi ancora lo ricorda . Nel novembre del 1963 Siviero propose al sindaco Vittorio Antoni di costituire una commissione per la protezione storica e artistica di Todi, formata da persone dichiaratamente ammiratrici della citta, vengono chiamati in qualità di presidente Vincenzo Arangio Ruiz, Presidente dell’accademia dei Lincei, Vicepresidente Il ministro Rodolfo Siviero, nel direttivo Filippo Magi,professore di archeologia dell’universita di perugia, Ranuccio Bianchi Bandinelli,professore di archeologia dell’universita di Roma, Giulio Carlo Argan e   Roberto Longhi,storici dell’arte, Adriano Prandi professore di archeologia universita di roma, Renato Guttuso,artista, Antonio Berti artista, Riccardo Bacchelli, scrittore e Giorgio Sangiorgi, archeologo. La proposta venne accolta con una delibera, ma poi la proposta di rimando in rimando,  non ebbe seguito.

Una cosa che immagino non sappia nessuno, è che fu proprio Rodolfo Siviero che ispirò mio padre e mio zio nella realizzazione  a Todi di una mostra dell’antiquariato. Tra il  1968  e il 1969 in Italia c’erano solo due mostre ed erano la  biennale di Milano e la biennale di Firenze, a Palazzo Strozzi, che per molti anni fu la più importante rassegna antiquaria del mondo.

Questo avvenne per un fatto particolare. Mio padre e mio zio  furono  chiamati dal proprietario di  un palazzo storico per visionare ed eventualmente acquistare quel che rimaneva degli antichi arredi. Ispezionato l’immobile notarono un grande dipinto completamente annerito e inchiodato al telaio di una porta, si percepiva appena che il soggetto era una sacra famiglia. Il “Quadrone”, così lo chiamavano,  fu portato nel salone di casa dove mio zio fece qualche saggio di pulitura con la cipolla e il vino bianco,  un metodo antiquato allora molto diffuso, e subito vennero in luce i tratti di una composizione cinquecentesca  molto vicina alla mano di  Raffaello Sanzio.  Fu subito interpellato Siviero che giunse a Todi l’indomani annullando tutti gli impegni. Osservando quei saggi di pulitura  anche lui percepì una qualità pittorica degna di nota, ma il quadro era troppo sporco per un parere definitivo.  Suggerì così una strategia  d’azione : prima cosa il necessario restauro e se i successivi studi avessero confermato l’attribuzione al maestro di urbino,o comunque un suo seguace, con il suo aiuto si doveva organizzare una grande mostra antiquaria a Todi e lì sarebbe stato  esposto con tutti gli onori e di conseguenza  avanzare una proposta d’acquisto allo stato.  Da quell’idea, nel finire del 1968 mio padre, mio zio e l’antiquario tuderte Ferdinando de Alexandris, posero le basi per creare la Prima Mostra Mercato Nazionale dell’Antiquariato,a questo primo nucleo necessariamente si aggiunsero altri soci. Siviero da subito fu nominato nel comitato d’onore.   Nonostante il 1969 fu l’anno delle stragi e dei tentativi di golpe, la mostra dell’antiquariato  ebbe un successo clamoroso sia come vendite che come presenza di pubblico, creando una enorme occasione di sviluppo economico e turistico, finalmente Todi esplose uscì  dall’isolamento  in cui era relegata e si trasformò in città mondana che attraeva personaggi da tutto il mondo.

Il famoso “quadrone” fu  restaurato e  la pulitura purtroppo svelò che il dipinto non era di  Raffaello ma opera di un maestro del manierismo,   fece comunque  bella figura di sé all’ingresso della mostra.

Un altra opportunità di lavoro creata da Rodolfo Siviero,  fu quella di far confluire a Todi una notevole  quantità di arredi, sculture e materiali  d’epoca gravemente danneggiati dall’alluvione di Firenze  provenienti da collezioni private ed enti culturali fiorentini, una mole di lavoro  che non impegnò solo la nostra bottega , ma anche altri restaurori tuderti per molto tempo.

Nel 1974 il Lions Club di Todi invitò Siviero a tenere una confereza sulla vicenda delle restituzioni, a riconoscimento dei suoi meriti e per  il legame che aveva con la città,  gli fu donato un omaggio a ricordo della giornata.

Con l’acuirsi  della sua malattia, che lui con auto ironia  definiva il  colerino, le sue visite a Todi si fecero sempre più rare, negli ultimi tempi era amareggiato poiché la politica  in tutti i modi  cercava di deleggittimarlo per indurlo a chiudere  quella che dopo trenta anni era ancora la sua missione di vita.  Tanti sarebbero gli aneddoti e le storie da raccontare, ma vorrei chiudere con la lettura di una pagina del suo diario, tra le ultime scritte:

“15 luglio 1977 – Domenica sono stato a Todi, è stata la visita di un’ombra a un mondo del passato. Erano le due del pomeriggio,la giornata era bellissima e la città a quell’ora completamente deserta,gli antiquari miei amici non c’erano più. Preso dalla nostalgia sono stato a casa della famiglia Zoccoli.Non c’era nessuno. Ho girato intorno alla casa che è isolata con un giardino chiuso da mura altissime.Ho girato intorno alla casa,ho rivisto le belle architetture dei portali delle case vicine e la chiesa dove lavorava Oreste Zoccoli. Quest’uomo con il fratello Ernesto mi hanno restaurato i mobili che mi avevano venduto dopo l’alluvione, devo a loro tante gentilezze e generosità che non ho mai trovato in altri. Ora la loro bottega non esiste più,la chiesa dove lavoravano con avanzi di affreschi trecenteschi è chiusa, dalle finestre rotte si vedono dentro immense ragnatele e nessuno si ricorderà mai che ha avuto una seconda vita con questi artigiani. Sono partito per Roma un po malinconico”.  In queste poche righe possiamo cogliere il suo malessere interiore e la nostalgia per  un tempo passato,  e lo facciamo con la speranza che  non venga mai più  dimenticato, come lo è stato per anni,  l’altissimo valore del suo operato verso  la salvaguardia del nostro patrimonio storico artistico nazionale, a tale propostito  proporrei all’amministrazione comunale di intitolare un luogo pubblico della città  alla  memoria di Rodolfo Siviero, amico di Todi.

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