Nel 2022 in Umbria hanno lavorato alle dipendenze nel comparto privato extra agricolo[i] quasi 70 mila giovani con meno di 35 anni, il 30,6 per cento del totale dei dipendenti privati nell’anno (una quota leggermente inferiore a quella della media nazionale e delle regioni del Nord). La presenza giovanile, quasi esclusiva tra gli apprendisti e residuale tra i quadri e i dirigenti, in Umbria risulta, in ogni qualifica, inferiore a quella registrata nelle aree di riferimento.
Lo schiacciamento verso il basso dell’articolazione per profili (i giovani sono assai poco presenti tra i quadri e i dirigenti) nella regione risulta più accentuato rispetto a Italia e Nord, a confermare la peculiarità già riscontrata osservando l’intera compagine lavorativa (cfr. https://www.agenziaumbriaricerche.it/focus/le-basse-remunerazioni-del-lavoro-in-umbria-caratteri-cause-implicazioni/): in Umbria i lavoratori under 35 sono per il 57,8 per cento operai (il 50 per cento al Nord) e per il 23,5 per cento impiegati (il 37 per cento al Nord), mentre risulta sovrarappresentata, con il 18,4 per cento, la categoria degli apprendisti.
I giovani umbri con contratti a tempo determinato sono relativamente più numerosi dei coetanei italiani e settentrionali (36,1 per cento contro 34,8 e 33,0 per cento rispettivamente), coprendo una quota praticamente doppia rispetto a quella degli ultra 34 enni; inoltre, nel 35,6 per cento dei casi hanno un contratto part-time (meno dell’Italia ma più del Nord) a fronte del 30 per cento dei lavoratori più maturi.
Per la maggiore presenza di contratti a termine, il numero medio di giornate retribuite dei giovani risulta inferiore a quello degli over 34 (in Umbria 213 contro 264). Più in generale, la minore continuità lavorativa, contratti più penalizzanti, il livellamento verso il basso delle qualifiche, una storia professionale più breve incidono sui livelli retributivi, mediamente più bassi rispetto a quelli degli over 34: in Umbria, ai giovani che lavorano nel comparto privato (come visto, il 31 per cento circa nel 2022) corrisponde il 21 per cento del monte retribuzioni.
Nel complesso, agli umbri con meno di 35 anni che lavorano nel privato come dipendenti corrisponde una retribuzione media annua di 14.478 euro, inferiore a quelle dei coetanei dell’Italia e del Nord (rispettivamente pari a 15.616 e 17.692 euro)[ii]. Si ripropone dunque, anche per i più giovani, l’analogo svantaggio retributivo umbro già osservato per l’intera compagine lavorativa (del resto, anche le retribuzioni medie annue dei lavoratori più maturi si collocano al di sotto dei relativi dati delle aree di riferimento). La forbice retributiva annua degli umbri under 35 rispetto ai coetanei italiani e settentrionali è in media pari a -7,3 e a -18,2 per cento, rispettivamente, ovvero si passa da 1.138 euro in meno rispetto all’Italia a 3.214 euro in meno rispetto alle regioni settentrionali. Lo scarto si fa massimo tra i quadri e tra le qualifiche “altre”, mentre la regione supera nettamente le aree benchmark in corrispondenza dei dirigenti (ma qui il dato è poco rappresentativo visto che conta soltanto 9 unità).
Va da sé che il generale livellamento verso il basso delle retribuzioni nella regione determina uno scarto intergenerazionale più ridotto (-36,4 per cento) rispetto a quello italiano (-40,6 per cento) e a quello del Nord (-40,1 per cento).
E questa è la situazione media complessiva, vale la pena verificare il confronto intragenerazionale (between) e all’interno della fascia più giovane (within) isolando la sola componente lavorativa con contratto a tempo indeterminato, impiegata full-time per l’interno anno (ovvero retribuita per 52 settimane), che definiremo standard. In questo modo si riescono a comparare situazioni più omogenee dal punto di vista contrattuale e di presenza lavorativa.
Intanto, una conferma, ovvero che la presenza del lavoro standard tra i più giovani è ovunque nettamente inferiore rispetto a quella riscontrabile tra i lavoratori più maturi. Nel dettaglio, i giovani umbri dipendenti nel privato con lavoro standard nel 2022 sono stati 22.492, il 32,5 per cento di essi (una quota tra Italia e Nord). Si ripropone altresì la maggiore caratterizzazione operaia del lavoro giovanile umbro, soprattutto rispetto alle regioni del Nord (52,6 per cento contro 42,3 per cento), si accentua la sottorappresentazione della qualifica impiegatizia (il 24,2 per cento in Umbria a fronte del 40,7 per cento dell’Italia e del 43,1 per cento del Nord) e la maggiore relativa presenza di apprendisti (22,7 per cento contro 13,4 e 12,7 per cento rispettivamente).
Anche nel lavoro standard si ripropone la minore presenza di giovani – ricorrente in ciascuna qualifica – in Umbria rispetto alle aree di riferimento (21,6 per cento contro 24,6 del Nord), cui continua ad associarsi un monte retribuzioni complessivo relativamente più basso (17,5 per cento in Umbria contro 18,9 al Nord).
Quanto guadagnano dunque i lavoratori standard under 35 anni dipendenti nel comparto privato?
Ovviamente il lavoro standard fa guadagnare di più. In Umbria la retribuzione media annua di un giovane dipendente nel comparto privato con contratto a tempo indeterminato, full-time per un intero anno nel 2022 è stata di 24.069 euro (contro i quasi 29 e 28 mila euro dei giovani del Nord e italiani rispettivamente), che corrispondono a -3.852 euro del valore medio italiano e a -4.888 euro di quello del Nord (-13,8 per cento e -16,9 per cento rispettivamente).
Il minore guadagno dei giovani umbri dipende non solo da una maggiore concentrazione tra gli operai, ma anche dalla minore retribuzione media relativa a ciascuna qualifica, che si fa massima in corrispondenza dei quadri (fanno eccezione i dirigenti che, invece, guadagnano mediamente più dei coetanei delle altre aree, ma si tratta di 8 casi in tutto).
In più, la penalizzazione retributiva umbra, anche tra i giovani, si va amplificando negli anni: nel 2019 la forbice media era infatti più contenuta e pari a -12,2 per cento nei confronti del dato italiano e a -15,0 per cento nei confronti di quello delle regioni settentrionali.
Tuttavia, il livellamento verso il basso dei salari e stipendi nel comparto privato regionale (come testimoniano i valori afferenti ai lavoratori over 34) attenua lo svantaggio intergenerazionale che, nel 2022, in Umbria è di -23,3 per cento, a fronte del -26,7 per cento registrato per l’Italia e del -28,5 per cento ravvisabile nelle regioni del Nord.
Ma cosa pensano i giovani in relazione alla loro partecipazione al mondo del lavoro?
Da un’indagine dell’Istituto Eures (Ricerche Economiche e Sociali)[iii] realizzata tra dicembre 2023 e febbraio 2024 su un campione rappresentativo di giovani italiani da 15 a 35 anni emerge che il timore di svolgere un lavoro con una retribuzione inferiore a quella dovuta, cioè, equa e rispondente al valore delle prestazioni effettuate, rappresenta la principale ragione di preoccupazione (per il 55 per cento degli intervistati). Segue a breve distanza il timore di avere un lavoro instabile/precario per molto tempo (47,3 per cento); preoccupa altresì la mancanza di opportunità idonee alle proprie competenze, segnalata dal 36,5 per cento di essi e il rischio di trovare un lavoro dequalificato rispetto alla propria formazione (28,4 per cento).
Gli intervistati, invitati a segnalare gli interventi ritenuti prioritari per migliorare le condizioni lavorative dei giovani, pongono ancora al primo posto il reddito/livello salariale (58 per cento delle citazioni), a seguire la stabilità contrattuale e il contrasto alla precarietà (44,9 per cento), quindi la richiesta di incrementare/migliorare le opportunità occupazionali per i giovani (42,1 per cento).
Relativamente ai requisiti nella scelta, passata o futura, del primo lavoro, i giovani intervistati hanno segnalato di essere (stati) guidati dai seguenti bisogni fondamentali: una retribuzione adeguata (27,8 per cento), la realizzazione personale, attraverso la soddisfazione, il contenuto del lavoro e la coerenza con la formazione (26,9 per cento), un buon ambiente di lavoro (21,9 per cento), opportunità di carriera (21,1 per cento).
Questi dati sottolineano come la questione economica rimanga prioritaria, ma non sia l’unico elemento che conta per un giovane che lavora. Ne consegue che la decisione di abbandonare volontariamente la propria occupazione, anche se a tempo indeterminato, può essere indotta da considerazioni più complesse, sulla scia di quei valori della yolo generation (che segue la filosofia del “si vive una volta sola” – You Only Live Once) maturati prepotentemente nel corso della pandemia, anche nel nostro Paese.
Quale che sia la motivazione principale che spinge a rinunciare al proprio impiego, licenziandosi, rileva un fatto: la schiera dei giovani che abbandonano un lavoro fisso alla ricerca di un altro più appagante (soprattutto da un punto di vista remunerativo ma non solo) si è andata ampliando, in particolare negli anni più recenti. Dallo scoppio della pandemia le dimissioni da tempi indeterminati tra i giovani al di sotto dei 30 anni sono in crescita in valore assoluto in Umbria, in Italia, al Nord, e anche la quota degli abbandoni volontari dal lavoro a tempo indeterminato sulle relative cessazioni continua, tra alti e bassi, a porsi su livelli molto elevati.
Il fenomeno, diffuso anche tra i lavoratori più maturi, è strutturalmente molto più accentuato tra i giovani e l’Umbria, in entrambi i casi, si posiziona tra il livello nazionale e quello del Nord Italia, ove raggiunge punte particolarmente alte: nel 2022 le dimissioni di giovani con meno di 30 anni con contratto a tempo indeterminato per ogni 100 cessazioni sono state quasi 82 al Nord, quasi 77 in Umbria, quasi 76 in Italia. Nel 2023 questi valori sono saliti, rispettivamente a 83, 80, 78.
Non si tratta sempre di un salto nel vuoto, anzi, in molti casi dietro questi abbandoni vi sono trasferimenti programmati, in altre aziende, in altri settori, magari per profili o anche tipo di contratti differenti da quelli lasciati. Un fatto è certo: questa maggiore fluidità del mercato nasconde una irrequietezza che spinge verso la ricerca di sistemazioni migliori e che, a volte, si traduce in vere e proprie fughe verso altre destinazioni geografiche. E proprio perché i protagonisti sono i più giovani, lavoratori di fatto o potenziali, il fenomeno rischia di aggravare ulteriormente la sostenibilità sociale, demografica, economica dei nostri territori.