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La lotta alla grandine è sempre stato un capitolo della storia incuneato fra tradizioni popolari, superstizioni e credenze religiose
monte castello

Con l’arrivo dei primi temporali di fine estate puntuale è arrivata anche la grandine, molto temuta nelle campagne e, in particolare, dagli imprenditori agricoli o da chi, semplicemente, coltiva un orto.
Da sempre la grandine è considerato un evento particolarmente dannoso perchè, in pochi minuti, è in grado di distruggere o danneggiare il lavoro di un intero anno. 

Un tempo si era anche portati a credere che le nubi temporalesche fossero dei veri e propri spiriti maligni, una punizione esemplare, un flagello di cui si parla, ad esempio, nella Bibbia fra le piaghe d’Egitto e nella Divina Commedia fra i “novi tormenti” del VI Canto dell’Inferno, dove Dante Alighieri, inserisce anche la “grandine grossa”. Iacopone da Todi, in una lauda, la cita fra le temute avversità che accadevano presso il “terribile fossato” di Regoverci (oggi della Pasquarella) in cui segnalava la presenza improvvisa di “Gelo, granden, tempestate, fulguri, troni, oscuritate”.

I Goti sembra che scacciassero questi demoni annidati nelle nuvole con archi e frecce lanciate verso l’alto. Poi, con l’introduzione dell’artiglieria, si passò a sparare con i cannoni nella speranza che l’onda d’urto potesse ridurre la grandine. 

In un passaggio della Vita di Benvenuto Cellini scritta nel Cinquecento viene raccontata perfino la (presunta) efficacia di queste pratiche: “Avevo acconcio parecchi pezzi di artiglieria, grossi, invero quella parte dove i nugoli erano più ristretti, ed essendo di già cominciata a piovere un’acqua grossissima, ed io cominciato a sparare queste artiglierie, si fermò la pioggia. E alle quattro volte si mostrò il sole”. 

Dai cannoni con funzione antigrandine si è passati poi, agli esplosivi, ai falò e al lancio di razzi sebbene non vi sia alcuna prova scientifica della loro efficacia. La lotta alla grandine insomma è sempre stato un capitolo della storia incuneato fra tradizioni popolari, superstizioni e credenze religiose. 

Uno dei rimedi per ridurre l’intensità del temuto fenomeno atmosferico è stato da sempre anche quello di suonare le campane dall’alto di torri e campanili. La tradizione era ritenuta così utile e necessaria che, a Todi, sulla campana grande del campanile di San Fortunato fabbricata nel 1680, prima che venisse rifusa nel 1923, si poteva leggere l’iscrizione in latino: “A fulgore et tempestate libera nos Domine” ovvero: “Liberaci o Signore dal fulmine e dalla tempesta”. 

All’approssimarsi delle nubi temporalesche il campanaro, anche nelle nostre zone dell’Umbria, fino a qualche decennio fa, aveva il compito di suonare in continuazione le campane ad “acquaria” con un suono forte e dirompente per tentare di rompere l’aria e scacciare il temporale, evitando così la sciagura della grandine e dei fulmini.

Per il campanaro si trattava di un compito di grande responsabilità, perchè doveva essere sempre vigile e attento ai cambiamenti del tempo. Per questa delicata incombenza, lo stesso, durante la trebbiatura, passava presso le case dei contadini per ricevere un pò di grano quale ricompensa per il suo ruolo che, evidentemente, era ritenuto da tutti di grande utilità sociale.

Oggi non abbiamo più i campanari e, a volte, neppure le campane sempre più spesso silenziate per non arrecare disturbo alla quiete pubblica, elettrificate nel loro funzionamento o, addirittura, sostituite dal suono triste e artificiale di un registratore. Per difenderci dal maltempo vengono diffusi sempre più spesso gli “allerta meteo” che, per quanto attendibili, non sono comunque in grado di definire il perimetro delle grandinate visto che, solitamente, si manifestano a macchia di leopardo. L’antica pratica del suono “a tempesta” o “a scongiuro”, seppure inefficace contro la grandine, in una società rurale, quale unico mezzo di comunicazione “di massa”, aveva almeno il merito di avvisare velocemente chi si trovava all’aperto per dare modo a tutti di mettere al riparo sé stessi, i propri familiari e i propri animali e di spargere anche un senso di protezione nella comunità. 

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