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Secondo l’associazione di categoria, il sempre più elevato costo dei fertilizzanti indurrebbe le aziende ad utilizzarne un terzo in meno
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In Italia nel 2022 a causa dei rincari e della scarsa reperibilità si è verificato il taglio da parte delle aziende agricole di quasi 1/3 negli acquisti di fertilizzanti che mette a rischio le semine, i trapianti autunnali e la stessa produttività dei raccolti Made in Italy. È quanto emerge dall’analisi della Coldiretti dalla quale si evidenzia che il balzo nelle quotazione è influenzato dal fatto che la produzione mondiale dipende fortemente dal costo del gas ed è concentrata in Russia e Bielorussia.

A pesare sull’aumento del costo dei fertilizzanti, che in un anno è più che raddoppiato, sono le misure adottate con l’inizio della guerra in Ucraina con sanzioni, accaparramenti e riduzioni degli scambi che hanno favorito le speculazioni in una situazione in cui l’Italia ha importato lo scorso anno dall’Ucraina ben 136 milioni di chili di fertilizzanti mentre altri 171 milioni di chili arrivavano dalla Russia e 71 milioni di chili dalla Bielorussia secondo l’analisi della Coldiretti su dati Istat dalla quale si evidenzia che si tratta complessivamente di una quota superiore al 15% del totale delle importazioni.

I prezzi dei fertilizzanti sono aumentati dopo le sanzioni contro le aziende bielorusse che producono potassio e l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia che ha gettato nel caos una grossa fetta delle forniture globali. Si stima che Russia e Bielorussia costituiscano circa il 40% della produzione globale di potassio mentre la Russia produce circa il 20% dell’azoto mondiale. Il risultato – continua Coldiretti – è che l’urea è balzata a 1.100 euro a tonnellata contro i 540 euro a tonnellata dello scorso anno, secondo Cai – Consorzi Agrari d’Italia, mentre il perfosfato è passato da 185 agli attuali 470 euro/tonnellata e i concimi a contenuto di potassio sono schizzati da 455 a 1005 euro/tonnellata. 

Una situazione che ha pesanti effetti sulla produttività delle coltivazioni che rende necessario – secondo il presidente Coldiretti Umbria Albano Agabiti – promuovere l’utilizzo dei fertilizzanti organici e, in particolare, del digestato, ottenuto dalla produzione di energie rinnovabili come biogas e biometano, facendo chiarezza sulla possibilità di utilizzo ed eliminando la soglia dei 170 kg di azoto per ettaro all’anno.

Prosegue quindi il periodo di difficoltà del nostro settore – aggiunge Agabiti – che crea preoccupazione ed incertezza negli agricoltori che si avviano alle semine dei cereali autunno vernini, già condizionate dalle temperature ancora elevate e da un clima che dopo le piogge, anche dannose, di settembre, è tornato siccitoso, rendendo duri i terreni e con la possibilità di uno sviluppo precoce delle colture.

Per effetto degli aumenti dei costi – ricorda il direttore regionale Coldiretti Mario Rossi – in Italia più di 1 azienda agricola su 10 (13%) è in una situazione così critica da portare alla cessazione dell’attività mentre il 34% del totale nazionale si trova comunque costretta in questo momento a lavorare in una condizione di reddito negativo per effetto dei rincari.

In questo scenario pieno di incognite, occorre supportare in ogni modo – conclude Rossi – un settore strategico come quello primario, che sta scontando una concomitanza di avversità che rendono sempre più complicata nelle campagne anche la programmazione delle attività, oltre che per il clima pure per il caro prezzi, penalizzando il nostro made in Umbria agroalimentare già colpito nell’ultima stagione in termini di rese.

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