L’anno 1977 stava volgendo al termine quando un “dottorino” fresco di laurea prendeva servizio a Todi, città di nascita nella quale era appena tornato dopo aver terminato l’Università a Roma. Aveva 25 anni e non sapeva che lo aspettava, da lì a pochi mesi, la più grande riforma della sanità italiana, ovvero il passaggio dalla “Mutua” al Sistema Sanitario Nazionale, con il quale si andavano a uniformare le prestazioni in tutta Italia e tra i diversi enti di assistenza di categoria. Una rivoluzione, insomma, che ancora oggi, ormai in pensione da qualche giorno, dopo 45 anni di ininterrotto e onorato servizio nella stessa comunità, ricorda con qualche brivido alla schiena.
Il dottore in questione è Maurizio Brugnetta, un medico di famiglia che ha attraversato quasi mezzo secolo in mezzo alla gente. Ha iniziato affiancando per due anni, nell’ambulatorio fuori Porta Romana, il dottor Velio Lorenzini, che si trasferì poi a Perugia proseguendo una brillante carriera professionale e politica. Quando iniziava a muovere i primi passi Maurizio Brugnetta i nomi storici erano quelli di Mario Resta, Carlo Grondona, Giovanni Friggi e poi ancora Rossi, Manfroni, Baccarelli, Mencaroni, medici condotti di un’altra epoca sanitaria e di un’altra generazione.
“Ereditai 2.500 mutuati tutti insieme e non fu facile”, rievoca Brugnetta. “Ricordo che avevo degli ambulatori anche a Pesciano e a Ilci e poi, a seguito dell’assunzione di Isidoro Bartolini in ospedale, per sostituirlo, anche a Castelvecchio, vicino alla sacrestia della chiesa, e a Viepri, dentro la torre antica, in cima ad una scalinata”. I tempi e la sanità erano diversi, ma di una cosa il dottor Brugnetta è convinto: “Da noi in Umbria alla medicina di territorio è sempre stata dedicata attenzione, assicurando dei livelli di copertura delle prestazioni spesso sconosciuti in altre parti d’Italia”.
“Essere al servizio della gente e per prima cosa non nuocere: sono i principi che mi hanno accompagnato, facendomi guadagnare fiducia e stima, sentimenti che mi sono stati manifestati sempre e tanto più spesso in questo ultimo periodo, dandomi consapevolezza di aver svolto il mio lavoro con professionalità, onestà e dedizione“, prosegue nel racconto Maurizio Brugnetta, sottolineando come queste fossero anche le raccomandazioni del padre, fabbro a Collevalenza. “Avrei voluto specializzarmi in cardiologia a Boston, dove ero stato nel 1974, ma i problemi di salute di papà mi indussero a tornare e cercare subito lavoro. Ho preso la specializzazione negli anni successivi a Perugia, studiando e lavorando“.
Tra i ricordi più segnanti quello legato al rogo del Vignola nel 1982. “Ero venuto a Todi a comprare il giornale e vidi le prime ambulanze passare e la gente correre. Andai subito al pronto soccorso dove rimasi fino a tarda sera. Ci fu un grande impegno, una gara di solidarietà da parte di tutti. Ho ancora davanti agli occhi le immagini di alcune persone rese irriconoscibili dal fuoco: si riconoscevano solo gli occhi! Ci impegnammo tutti al massimo e facemmo tutto quel che era possibile. Era ormai buio quando arrivò la notizia che un gruppo di persone era stato trovato senza vita in prossimità di una porta di emergenza sbarrata. Fu per tutti noi il colpo finale, l’epilogo di una delle giornate più negative per tutti noi e anche per la città di Todi“.
Un altro momento duro, neanche a dirlo, è stato l’ultimo, quello segnato dal Covid. Scuote la testa il dottor Brugnetta a pensarci, quasi a volerne scacciare il ricordo. “La pandemia ha sconvolto il nostro lavoro, lo ha cambiato radicalmente. Ci siamo trovati a fronte a qualcosa rispetto al quale, soprattutto all’inizio, non eravamo minimamente preparati. Abbiamo dovuto lavorare con la paura a farci compagnia, senza però indietreggiare, neppure quando sono arrivate le notizie dei colleghi che hanno perso la vita spendendosi con generosità e altruismo nella professione”.
Maurizio Brugnetta non è stato però soltanto un medico di famiglia. E’ stato dal 1980 al 1995 il medico del Basket Todi, nel periodo più glorioso della pallacanestro cittadina. In gran parte anche a lui, insieme al professor Giancarlo Pasqualini, si deve la rinascita della sezione della Croce Rossa a Todi, della quale è ancora oggi direttore sanitario. E poi tante altre cose ancora, dagli importanti convegni di medicina sportiva o specialista organizzati a Todi, fino all’impegno nella società degli Amici dell’Orto, della quale è presidente.
Il ricordo più bello? Ci pensa a lungo, dice che non ce ne sono. Poi gli occhi si accendono, il sorriso si allarga. “Nel 1982 ho curato e assistito Madre Speranza! Si era rotta un femore ed io dovetti seguire giorno per giorno la sua convalescenza. Lei mi aveva conosciuto bambino a Collevalenza, dove era arrivata nei primi anni ’50, e per questo mi chiamava “Chico”. Negli ultimi tempi parlava solo in spagnolo. Per me fu una bella responsabilità, ma non potevo tirarmi indietro. Non l’ho fatto mai con nessuno”.