Condividi su facebook
Condividi su twitter
Diffusi i dati sull’andamento del PIL, diffusi dalla Svimez, che vede gli umbri con un Pil procapite pari all’83,1% della media nazionale
pil grafico

L’Umbria per il secondo anno consecutivo è la regione peggiore d’Italia per andamento del Pil. È questo il triste risultato che scaturisce dai dati, diffusi dalla Svimez, sull’andamento del Pil 2017 nelle regioni italiane, ed elaborati da Mediacom043, diretto da Giuseppe Castellini.
Dopo quella del 2016, quando il Pil dell’Umbria era sceso dell’1,6% a fronte del +0,9% del Pil italiano, facendo segnare il peggior risultato tra le regioni italiane, arriva un’altra doccia fredda. Ancora più inaspettata, anche se il terremoto di fine 2016 ha fatto sicuramente sentire i propri negativi effetti su tutto l’anno 2017.

Il Pil 2017 dell’Umbria, infatti, scende dell’1%, a fronte del +1,5% della media nazionale (+1% il Centro, +1,5% il Centro-Nord, +1,4% il Mezzogiorno), facendo segnare ancora una volta il peggior risultato d’Italia. Tutte le regioni italiane, ad eccezione di Umbria, Marche (-0,2%) e Molise (-0,1%), mostrano il segno più, a dimostrazione di una ripresa in atto, benché non eccezionale. L’Umbria resta invece in recessione, scivolando sempre più verso il Sud, dove quanto a valore assoluto di Pil per abitante da due anni è stata già superata dall’Abruzzo, che nel 2017 allunga le distanze.
Una situazione pesantissima, quella dell’Umbria, se si tiene anche conto che la regione, tra il 2008 e il 2014, ossia il periodo più duro della grande recessione, ha marcato (vedere tabella in fondo) il calo più pesante del Pil (-17,1%, contro -8,6% della media nazionale e -8,3% di quella del Centro). Ci troviamo quindi di fronte all’anomalia di una regione territorialmente del Centro-Nord ma che anno dopo anno scivola verso il Sud. Con ripercussioni evidenti sui livelli di benessere, come dimostra il forte aumento registrato in Umbria delle famiglie e delle persone in povertà assoluta e in povertà relativa, testimoniato dagli ultimi dati Istat che sono stati oggetto di un precedente rapporto di Mediacom043.

Secondo i primi calcoli, in conseguenza dell’ulteriore calo del Pil umbro e dell’aumento di quello nazionale, il Pil pro capite dell’Umbria (ossia la divisione tra Pil totale e numero di abitante) tocca il nuovo minimo storico dell’83,9%, dopo che era già sceso all’86,1% nel 2016. Per avere un’idea della pesantezza di questa flessione basti pensare che nel 2000 il Pil per abitante dell’Umbria era il 98% di quello medio nazionale (ed era il 99% nel 1995). In 17 anni, quindi, in termini di Pil per abitante la regione ha perso ben 14,1 punti percentuali rispetto alla media nazionale, che peraltro non è che sia andata bene.
Un declino ventennale grave e strutturale, come dimostra il fatto che, se nel 1995 il Pil per abitante dell’Umbria era il 99% della media italiana, come visto scende al 98% nel 2000 per poi flettere al 94,7% nel 2005, risalire leggermente al 95,2% nel 2007 e precipitare durante la grande recessione al 91,7% nel 2010, fino a scendere all’86,1% nel 2016 e infine precipitare all’83,9% nel 2017. Insomma, uno tsunami economico, facendo molto peggio di quanto non abbia fatto la media del Paese.

E il ritardo dell’Umbria nei confronti del Centro-Nord diventa un abisso. Nel 2017, infatti, il Pil per abitante della regione precipita al 71,3% di quello medio del Centro-Nord, nuovo record storico dopo il 73,1% toccato nel 2016. Basti pensare, anche in questo caso, che poco più di 20 anni fa il ritardo dell’Umbria in termini di Pil per abitante rispetto al Centro-Nord era del 17% (ossia, fatto 100 il Pil pro capite del Centro-Nord quello umbro aveva un indice di 83). Il solco è pertanto diventato un fossato, con un ritardo che diventa di 26,9 punti percentuali, quasi 10 in più in poco più di 20 anni.
Una beffa, se si ricorda che poco più di 10 anni fa, sotto la presidenza Lorenzetti, fu proclamato l’obiettivo di aggancio del Centro-Nord in termini di sviluppo. Il fallimento dell’operazione non potrebbe essere più clamoroso.
Nel 2017, a dimostrazione dell’arrivo della ripresa, che tuttavia resta insufficiente, come detto tutte le regioni italiane eccetto tre (Umbria, Marche e Molise) mostrano una crescita del Pil. L’incremento più alto della ricchezza prodotta nel 2017 spetta alla Valle d’Aosta (+2,6% in termini reali, ossia al netto dell’inflazione), 1,1 punti percentuali in più della media italiana, che sempre nel 2017 ha fatto +1,5%.
Il secondo miglior andamento lo marca il Trentino Alto Adige (+2,5%), al terzo posto la Lombardia (+2,2%). Quindi la Calabria (+2%), la Sardegna (+1,9%), Campania e Liguria (entrambe con + 1,8%). C’è tuttavia da dire che per alcune regioni non è tutto oro quello che luccica, perché la ripresa del Pil arriva dopo un vero e proprio crollo. Basti pensare che, tra il 2008 e il 2014, il Pil è sceso del 15,2% in Campania, del 15% in Sicilia e del 14,1% in Calabria.
Tra le altre regioni il Veneto nel 2017 vede aumentare il Pil dell’1,6%, Il Piemonte dell’1,3%, l’Emilia Romagna dell’1,1%, il Friuli Venezia Giulia dell’1%, la Toscana dello 0,9%, il Lazio dell’1,6%, l’Abruzzo dell’1,2%, la Puglia dell’1,6%, la Basilicata dello 0,7%, la Sicilia dello 0,4%.
Ripresa sì, insomma, ma debole. Con l’Umbria ancora in recessione. Un incubo da cui non si riesce a uscire.

“I dati sull’andamento del Pil 2017 forniti dallo Svimez confermano che l’Umbria è l’unica regione del Centro-Nord ancora in recessione, insieme alle Marche che tuttavia mostrano una situazione meno pesante”, afferma Giuseppe Castellini, direttore del settore Datajournalism di Mediacom043. “La regione – prosegue Castellini – a differenza di quasi tutte le altre ad eccezione di Marche e Molise, non solo non si avvicina al recupero del Pil pre-crisi, ma se ne allontana anno dopo anno. Emerge tutta la debolezza strutturale, la gracilità dell’economia regionale, che si trova in un declino dove pochi sono i salvati e molti i dannati. Si deve aprire un dibattito vero, non viziato da contingenze politiche ed elettorali, su quando è avvenuto e sta avvenendo per condividere un’analisi e individuare percorsi di un possibile sviluppo sia nel breve che nel medio-lungo periodo. Invece – continua Castellini – i luoghi e i momenti di dibattito, analisi e condivisione si rarefanno in conseguenza di dati e andamenti ormai imbarazzanti, come se il non parlarne e il nascondere serva a qualcosa. Anzi, la mancanza di una prospettiva, l’assenza di una strada genera ancora più inquietudine e incertezza tra gli attori economici e tra i cittadini, provocando sfiducia. A volte si ha l’impressione che la situazione sia sfuggita di mano e che il messaggio sia quello di rassegnarsi a vedere degradare le condizioni di vita e di lavoro della regione. Una prospettiva che non può che generare contraccolpi sociali e politici. Servirebbe ben altra capacità progettuale e di spinta da parte delle Istituzioni pubbliche e dei corpi sociali intermedi, a cominciare dalle associazioni imprenditoriali, per ridare un po’ di speranza. Ma l’impressione è che questa deriva, per certi aspetti anche umiliante, sia destinata a durare”.

Tabella Pil regioni italiane 2017

condividi su:

Condividi su facebook
Condividi su twitter