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Brevi considerazioni sulla figura dell’uomo che agli inizi del ‘900 ha voluto lasciare al Comune tutti i suoi beni (raro esempio per l’epoca in cui è vissuto)
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La notte di sabato 10 febbraio 1917 moriva a Roma Angelo Cortesi, all’età di anni 72.
Nel novantanovesimo anniversario della morte, il Presidente dell’Istituto Cortesi, a nome suo personale e di tutti i componenti del Consiglio di Amministrazione, intende rendere omaggio alla memoria del munifico uomo e grande benefattore dell’intera comunità di Todi.

Un uomo che in vita ha accumulato un vastissimo patrimonio immobiliare a Todi e nei comuni limitrofi e nell’atto di ultima volontà, scritto di suo pugno per ben tre volte, non in punto di morte bensì 15 anni prima e quindi con radicato convincimento, ha voluto destinarlo al soccorso delle persone “inabili al lavoro per infermità naturale o per vecchiaia” lasciandolo in eredità al comune di Todi per tale nobile scopo e con il vincolo, appunto, di erigere in Todi un “Istituto o Ricovero di Beneficenza per inabili al lavoro” ed, in particolare, come si desume da altre sue disposizioni testamentarie, per quelli che non potevano essere ammessi nel civico Ospedale,come gli infermi permanenti o i malati cronici.
In tale ricorrenza vogliamo, non solo ricordarlo e rinnovare l’ammirazione e la gratitudine degli inabili al lavoro e di tutti i cittadini di Todi per la sua grande generosità, ma anche offrire alla città alcune brevi considerazioni sulla figura dell’uomo che agli inizi del ‘900 ha voluto lasciare al Comune tutti i suoi beni (raro esempio per l’epoca in cui è vissuto), al fine di meglio comprendere anche la straordinaria qualità della sua operosità e del pensiero che la sorreggeva.

Innanzitutto vogliamo sottolineare la sua religiosità.
Un senso profondo, sincero, veramente cristiano, ma anche non disgiunto dalla razionalità.
Egli, che era stato battezzato all’interno delle mura Leonine e profondamente legato, come tutta la sua famiglia alla Sede Apostolica, non esita a chiedere, nel suo testamento, che “ove per qualsiasi causa o ragione” il corpo di Letizia Veralli non potesse essere sepolto insieme a lui nella Cappella di famiglia del Campo Verano di Roma non ancora ultimata (poi ultimata nel 1921 dall’I.P.A.B.costituita dal Comune e restaurata dall’Ente medesimo nell’anno 2014) l’erede avrebbe dovuto costruire un monumento funebre nella Chiesa esistente, nella sua Villetta presso Todi, già convento dei Cappuccini, e lì avrebbe dovuto deporvi i cadaveri di Letizia e suo. Così come non esitò a rispondere in modo fermo ai frati Francescani, che cercavano di ricomprare il convento di Cappuccini.

In secondo luogo, l’attenzione si rivolge alla sua concezione del lavoro e del possesso dei beni.
Provenendo da una famiglia dedita ai commerci e alla finanza, il lavoro era sentito come dovere etico primario. Un lavoro capace di generare emancipazione e benessere. Noncurante di onori, agi e socievolezze sentiva la nobiltà del lavoro e serbava in cuor suo l’intento di aiutare chi non potesse attendervi. La fatica e l’intelligenza erano il segno distintivo della sua laboriosità e accortezza.
Anche questi concetti emergono dalle disposizionidel suo testamento, come ad esempio “le spese d’impianto dell’Istituto e di ogni altra spesa sia fatta mano mano, con le rendite della mia eredità” e, quindi, come si direbbe oggi per stralci e senza escludere ampliamenti successivi della struttura.

Ci è gradito, inoltre, di rimarcare la sua affettività.
Era descritto come uomo burbero, senza troppi complimenti, ma tali comportamenti erano riservati, più che mai, agli indiscreti o ai profittatori. Verso coloro che lo rispettavano era amicale e generoso.
Inoltre, l’amore limpido, speciale, gioioso, per Letizia Veralli. Già compagna di suo fratello Giulio, morto trentenne, è da Angelo accolta come “sua donna e come suo amore”. Per affermare tale dimensione affettiva, che era fieramente avversata nella società di fine ottocento, non esitò a rompere ogni rapporto con la sua famiglia d’origine e a chiudersi, dopo la tragica morte di Letizia nell’anno 1896, in un cupo riserbo, lontano da ogni frequentazione mondana, quasi che la morte di Letizia avesse sopito in lui la volontà di vivere.
Come pure vogliamo evidenziare l’affetto di Angelo per le cose della sua famiglia, mobili,oggetti d’oro e d’argento, gioielli monete antiche e altro che traspare dalle disposizioni testamentarie e il suo affetto per Todi che dimostra anche nella scelta degli esecutori testamentari.

Infine il testamento olografo, con l’istituzione del comune di Todi ad erede universale di tutti i suoi beni edaveri, perché con le rendite di quel suo lascito venisse eretto in Todi, nella forma voluta dalla legge, un “Istituto o Ricovero di Beneficenza per inabili al lavoro”. Così espressamente egli ordina, come pure dispone che “gli affitti dei miei beni dovranno effettuarsi all’asta pubblica quando pure diversamente fosse stabilito colle leggi sugli enti di beneficenza” e anche con l’obbligo per “l’affittuario di migliorare le condizioni dei fondi”.

Il suo gesto finale di grande generosità, compiuto con vera convinzione, crediamo stia a testimoniare il coronamento di un ideale nobile e la voglia di sentirsi attivo, con le sue prescrizioni, anche dopo la morte, nonché la saggezza e razionale lungimiranza di un imprenditore accorto.Infatti Egli ha fortemente voluto che, dopo la sua morte:
-il soggetto pubblico prescelto come erede universale continuasse, nelle forme allora previste, le attività legate al consistente patrimonio a luilasciato, affinché queibeni continuassero ad essere produttivi e a dare rendite indicandone anche i modi;
– con le rendite della sua eredità si dovesse istituire e sostenere un Istituto di beneficenza per inabili al lavoro descrivendo anche come ciò avrebbe dovuto essere fatto.
Una laica lucidità nel disporre per la sua successione e per la realizzazione del suo grande ideale.
Una generosità senza pretese di ricompensa né in terra né in cielo ed, anzi, la scelta che il popolo conoscesse la di Lui munificenza solo dopo la sua morte.
Volle solo il nome di Letizia, di suo fratello e suo nell’intitolazione dell’Istituto e i loro ritratti in marmo sopra l’ingresso principale.

Questi tratti e intendimenti dell’uomo sono stati desunti anche dalla lettura della pregevole pubblicazione del 2006 di due autori tuderti, Giuseppe Passeri e Filippo Orsini, che meritoriamente hanno ricostruito, per la prima volta, il profilo biografico di Angelo Cortesi (1845-1917) e dell’opuscolo del 1917 di Getulio Ceci (autore, tra l’altro, dell’importante saggio storico sulla città di San Fortunato: “Todi nel Medioevo”) e, ci sembra di poter dire, hanno guidato l’agire del fondatore dell’Istituto Cortesi, sia in vita che nella stesura autografa e in segretezza dell’atto di sua ultima volontà, molto distante da comportamenti economici dei nostri tempi.
Anche per questo ci piace ricordarlo in questo breve scritto commemorativo in suo onore.
In questa ricorrenza,vogliamo anche rinnovare l’auspicio che il nome di Angelo Cortesi appaia nuovamente sul viale, a Lui intitolato, di ingresso e uscita della città di Todi, presso l’incrocio di Porta Romana.

Nell’impegno di governo dell’Istituzione “LetiziaVeralli, Giulio ed Angelo Cortesi” che abbiamo assunto da circa un anno e mezzo, vorremmo poter riuscire ad avere la capacità di perseguire le volontà testamentarie sostanziali del Fondatore, di dare la migliore attuazione possibile a quelle finalità originarie, calate naturalmente nella realtà sociale di oggi e, in una parola, di ben amministrare l’Istituto Cortesi, ottimizzando le rendite del patrimonio lasciato in eredità ed impiegando le stesse per assicurare la continuità, la piena utilizzazione e il miglioramento continuo della qualità dell’importante servizio alla persona prodotto e erogato,in precedenza solo socio assistenziale e ora anche sanitario, con assistenza medica, infermieristica e riabilitativa extraospedaliera, come necessario per molti grandi anziani.

Lo stesso indirizzo dell’Ente, già formalmente deliberato nel marzo 2015, di trasformare questa Istituzione Pubblica di Assistenza e Beneficenza (IPAB) in Azienda di Servizi alla Persona (ASP) con un bilancio e una contabilità economica, in attuazione della vigente legislazione statale e regionale di riordino degli enti di beneficenza, e da gestire con criteri anche imprenditoriali, può contribuire a trasformare il vecchio Ente morale (denominazione ormai caduta in disuso), costituito nel dicembre 1917 per volontà dell’erede, in un ente pubblico moderno ancora più in sintonia con i descritti tratti e intendimenti dell’uomo e imprenditore Angelo Cortesi.

 

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