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Gentili Signore e Signori,
Gentili Studentesse e Studenti,

sono davvero lieto di essere presente a questa importante Conferenza-dibattito organizzata dall’“Associazione Circolo Tuderte” di Todi, alla quale formulo il mio sincero plauso e ringraziamento; il  Liceo “Jacopone da Todi” e il Rotary Club di Todi, che rappresento nella duplice veste di Dirigente Scolastico del Liceo e di Presidente del Club, hanno dato il loro patrocinio alla manifestazione, che propone un significativo momento di riflessione e di dialogo circa un evento che ha certamente segnato profondamente il corso della nostra contemporaneità.
Il mio breve intervento odierno chiama in causa la mia esperienza di Docente di Filosofia e Storia nei Licei, con particolare riferimento alle caratteristiche della presentazione della prima guerra mondale nella scuola italiana. A tale proposito, posso affermare che, nell’ultimo trentennio, i termini e le modalità della trattazione della prima guerra mondiale da parte dei Docenti italiani, nei vari ordini di scuola, hanno visto, per così dire, un chiaro superamento della presentazione di questo evento epocale da un punto di vista puramente fattuale o événementiel, per utilizzare un termine tipico della Scuola storiografica delle Annales, indirizzandosi piuttosto verso una “comprensione” della prima guerra mondiale in senso sociale, economico e culturale. Da questo punto di vista, i Docenti italiani hanno cercato di introdurre i discenti alla “cesura” rappresentata dalla prima guerra mondiale nel passaggio dall’Ottocento al Novecento, che ha condotto alcuni storici, come ad esempio Eric J. Hobsbawm nel suo celebre saggio Il secolo breve, a datare l’inizio del XX secolo proprio a partire dallo scoppio del conflitto nel 1914. Quindi, un elemento di grande importanza della trattazione scolastica della prima guerra mondiale, suffragato dalle caratteristiche stesse dei libri di testo adottati, è rappresentato dalla indicazione agli studenti della straordinarietà del conflitto e dal suo carattere globale e mondiale, che vede, ad esempio, soldati australiani, neozelandesi e indiani costretti a combattere in Turchia o nei reparti d’assalto sotto la bandiera britannica, soldati africani utilizzati sul fronte occidentale nelle armate tedesche, francesi e inglesi, l’ingresso in guerra di potenze extraeuropee come gli Stati Uniti e il Giappone. Va detto che un merito dell’insegnamento  della storia nella scuola italiana è costituito dal suo “respiro”, che non è angustamente “nazionale”, ma si estende all’Europa e al mondo, quindi in una direzione che tiene conto delle dinamiche e delle relazioni globali del percorso storico, la cui “trama” complessa e aggrovigliata richiede uno “sguardo” ampio e complessivo. In tal senso, va certamente sottolineata la trattazione della prima guerra mondiale come evento che non riguarda semplicemente o soltanto una ridefinizione dei confini nazionali, come nel caso dell’Italia, e lo sconvolgimento della mappa geopolitica europea dell’Ottocento, ma rappresenta il vero e proprio ingresso del nostro Paese nella “modernità”, con il suo portato di opportunità, sfide e contraddizioni che segnano tuttora il nostro tempo. Lo storico Antonio Gibelli, nel saggio L’officina della guerra. La Grande Guerra e le trasformazioni del mondo mentale, ha preso in considerazione i cambiamenti nella mentalità e nella percezione del vivere sociale intervenuti negli uomini al fronte, a seguito dell’esperienza della guerra e della trincea; questo incontro con il mondo moderno portò, ad esempio, ad una omologazione di lingue, abitudini, gusti alimentari, abbigliamento, così come ad una grande trasformazione nell’organizzazione del consenso e del tempo libero, ad un nuovo rapporto tra l’uomo e la macchina, ad una nuova relazione tra l’individuo e la massa. Tra i fenomeni più rilevanti di questo momento storico, è possibile citare lo straordinario passaggio dall’oralità alla scrittura: la guerra, infatti, fu, per moltissimi soldati analfabeti o illetterati, l’occasione per assumere dimestichezza con la parola scritta; i diari e gli epistolari scritti al fronte da migliaia di soldati italiani videro nella scrittura uno strumento catartico, in cui riversare le proprie angosce ed emozioni, in cui trovare una forma di resistenza e di autodifesa nei confronti delle terribili condizioni di vita della trincea.
Questa attenzione alle grandi trasformazioni nella mentalità e nella coscienza sociale originate dalla prima guerra mondiale si intreccia ad una analisi puntuale dei miti collettivi che caratterizzarono l’opinione pubblica dei principali Paesi europei, indirizzandola nel senso di una adesione entusiastica alla guerra come “sola igiene del mondo”, secondo una celebre espressione di Filippo Tommaso Marinetti. Pertanto, le dinamiche e i caratteri della “formazione” dell’opinione pubblica, attraverso la stampa, i manifesti, le cerimonie collettive, sono un “terreno di studio” sicuramente fecondo per comprendere il ruolo del “fattore ideologico” nella grande guerra, con le sue conseguenze tragiche e sconvolgenti. La scuola italiana, dunque, non ha trascurato, negli ultimi decenni, l’approfondimento del ruolo delle ideologie contrapposte nella genesi e nello svolgimento  della prima guerra mondiale, con particolare riferimento alle ideologie nazionalistiche che divisero profondamente i popoli europei. Da questo punto di vista, il ruolo degli intellettuali europei ha costituito un’occasione importante di riflessione sul piano didattico, con una focalizzazione sul tema della “responsabilità” degli uomini di cultura nei confronti delle scelte impegnative e dirimenti di quel momento storico, a partire dalla decisione di porre la professione intellettuale al servizio del dovere patriottico o piuttosto di preservarla da ipoteche di qualsiasi tipo, in primis patriottiche o nazionalistiche. Si pensi, in proposito, alla tesi della neutralità intellettuale sostenuta all’epoca dal grande scrittore francese Romain Rolland, per il quale l’uomo di cultura aveva il dovere di restare al di sopra della mischia (au dessus de la mêlée), quindi di non mescolare il suo compito di ricercare la verità con la difesa di interessi di parte. Ad un tale accorato “appello” si oppose buona parte del mondo intellettuale tedesco, che interpretò la guerra anche come “guerra della cultura”; uno dei più famosi e autorevoli intellettuali tedeschi, Thomas Mann, che successivamente avrebbe “ritrattato” le sue posizioni,  individuò nel conflitto una guerra tra la Kultur nazionale, radicata nel popolo e antilluminista, rappresentata dalla Germania, e la Zivilisation cosmopolita, superficiale e razionalista, di cui la Francia era il modello e l’esempio. Ma la guerra, scrisse un fine intellettuale italiano, Renato Serra, che trovò la morte nel conflitto, “non cambia niente. Non migliora, non redime, non cancella; per sé sola. Non fa miracoli. Non paga i debiti, non lava i peccati. In questo mondo, che non conosce più la grazia”.
Avviandomi alla conclusione, posso affermare che la didattica della prima guerra mondiale nella scuola italiana interpreta il carattere complesso e multiforme di questo evento epocale offrendo agli studenti strumenti e sollecitazioni utili alla  riflessione critica, all’esercizio della ragione e all’individuazione del nesso non recidibile che collega il passato al presente, perché, come ci insegna magistralmente Benedetto Croce, “la storia è sempre contemporanea”.

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