Altro che pensare al ponte sullo Stretto di Messina, l’Italia e gli altri Stati che si affacciano sul Mediterraneo dovrebbero incominciare a pensare seriamente allo Stretto di Gibilterra.
La larghezza minima dello Stretto di Gibilterra è di 14 km e la profondità massima è di circa 286 m.
Di fatto lo Stretto tra l’Africa e l’Europa costituisce uno specie di gradino, rispetto alle maggiori profondità dell’oceano atlantico e del mediterraneo.
Uno scalino molto alto che qualche millennio f,a quando il livello dei mari si abbassò per un periodo di glaciazione artica, impedì alle acque dell’oceano di entrare nel Mediterraneo, che poco per volta divenne una distesa asciutta, desertica e coperta di sale.
Ora quello scalino potrebbe essere la pietra sopra cui costruire una barriera, mobile e con sistemi di chiuse per consentire il traffico navale, atta a ridurre l’afflusso nel mare nostrum di quell’acqua dell’Oceano che, in crescita di livello per effetto dello scioglimento dei ghiacci artici, si prevede andrà a determinare, come sostengono alcuni studi dei ricercatori del Laboratorio di Modellistica Climatica e Impatti dell’Enea, l’inondazione di ben 33 le aree costiere italiane, tra cui la laguna di Venezia, il delta del Po, il golfo di Cagliari e quello di Oristano, l’area circostante il Mar Piccolo di Taranto, la foce del Tevere, la Versilia, le saline di Trapani e la piana di Catania, oltre a molte altre: europee ed africane.
In vero lo studio del fondale dello stretto di Gibilterra è già in corso, affidato a un gruppo di ingegneri svizzeri, spagnoli, italiani e marocchini.
Anche se finalizzato alla realizzazione di una soluzione sotterranea di attraversamento nel punto di minor profondità traTangeri e Tarifa, sarà molto utile per studiare la fattibilità ed i tempi di realizzazione di un sistema, sul tipo del Canale di Panama o la diga a paratie mobili sull’estuario della Schelda olandese (ma molto più profondo), che possa salvare le coste in pericolo
Da notare, peraltro, che in pericolo sommersione c’è anche la foce del Tevere e ciò determinerebbe una profonda penetrazione delle acque salate a ritroso lungo il percorso del fiume ed un consistente “tappo” che contrasterà l’afflusso al mare delle piene del fiume, la qual cosa potrebbe avere riflessi anche in Umbria