Il mondo moderno ha puntato sul bioetanolo, ma i problemi per una produzione etica e conveniente non sono pochi.
Il bioetanolo viene prodotto a partire da mais e canna da zucchero, viene utilizzato come componente per benzine, fino al 40% e usato per i motori tradizionali.
Rispetto ai carburanti fossili la concentrazione di sostanze cancerogene come il benzene e il butadiene è molto ridotta e si riescono ad abbattere le emissioni di CO2 del 70%.
Ci sono state però sempre forti controversie riguardanti il fatto che utilizzasse risorse che avrebbero potuto essere destinate all’alimentazione, per non parlare dell’effetto sull’aumento del prezzo dei cereali.
Per questo più volte si è cercato di optare per i biocarburanti di “seconda generazione“, ovvero quelli prodotti da paglia e legno, che però necessitano di impianti di grandi dimensioni, implicano il trasporto di grandi masse, richiedono processi complessi ed energivori, che risultano perciò anche molto costosi.
Ma forse i ricercatori dovrebbero guardare indietro di qualche centinaio di anni quando, senza saperlo, il biotanolo si produceva e si buttava con procedimenti che al mondo d’oggi sarebbero rivoluzionari se non fosse che occorre avere molta pazienza e l’uomo d’oggi purtroppo non ce l’ha.
Uno studio pubblicato su Biotechnology for Biofuels e condotto da Mitsuo Horita del National Institute for Agro-Environmental Sciences, in Giappone, parla di una “fermentazione allo stato solido”, un processo che farebbe già parte della tradizione agricola impiegato nella produzione di insilati ai fini dell’alimentazione animale.
Piante intere di riso verrebbero raccolte e compattate in una balla ricoperta da un film impermeabile insieme a una certa quantità di lieviti ed enzimi.
Lasciando la balla in incubazione i lieviti convertono zuccheri e amidi in etanolo, che si accumula e che tramite distillazione a vuoto viene estratto senza l’apporto di energia dall’esterno.
Con questo metodo alla fine si riesce ad prelevare l’86% dell’etanolo accumulato nella balla.
Quindi una elevata resa di etanolo, producendo mangimi di buona qualità e rifiuti zero, dopo circa 6 mesi di incubazione.