Signor Presidente del Senato, illustri Relatori, cari Sindaci, Autorità tutte, sono grata agli organizzatori e ai promotori di questa iniziativa che cerca di collocare il 25 Aprile in un contesto non solo di ricorrenza più profondo, quello della coltivazione della memoria affinché l’orrore delle stragi nazifasciste di settant’anni fa si imprima nella coscienza di ciascuno di noi e nelle generazioni più giovani.
Superando l’approccio puramente commemorativo, e con uno spirito libero da pregiudizi e ideologismi, è necessario far riflettere tutti, ma soprattutto i giovani sul ruolo della Resistenza attiva, armata e disarmata, sulle violenze naziste e fasciste contro tutti, la popolazione civile, sulla partecipazione femminile a tutte le forme d’impegno e di lotta, sul dramma della deportazione razziale e politica.
Nomi di alcuni comuni italiani, ma sono migliaia quelli che hanno vissuto tragedie come queste, quali Marzabotto, Roccaraso, Sant’Anna di Stazzema, o Gubbio, nella mia Umbria con i suoi “quaranta Martiri”, non sono considerati soltanto come un ricordo, ma piuttosto come uno sprone. In quelle atrocità dobbiamo riconoscere non soltanto il segno di dove può arrivare la crudeltà umana, ma dobbiamo ritrovare intatto e perenne un naturale moto di indignazione.
Sotto questo profilo, chiunque si trovi a rappresentare le istituzioni, tanto più se rappresenta quelle regionali e locali, avverte un senso di inadeguatezza rispetto ad una giustizia che, pur avendo identificato in modo puntuale responsabilità e colpevoli, non era riuscita a dare per anni una concreta esecuzione a sentenze che erano state di fatto sterilizzate. Tanto che oggi, mentre rileggiamo le pagine di libri come “L’armadio della vergogna” o “Io ho visto”, facciamo fatica a ricollegare quelle stragi con i volti di chi non solo non ha pagato, ma non ha Va anche detto che, all’indomani della fine del conflitto mondiale ed all’avvenuta Liberazione del Paese, alla volontà di istruire i processi sulle stragi nazifasciste ai danni di innocenti cittadini (oggi gli storici valutano il numero delle vittime in circa 15mila), seguì un periodo di inazione giudiziaria che oggi sappiamo accadde anche in ragione di equilibri internazionali molto condizionati dalla “guerra fredda”. Non a caso riprese negli anni successivi alla caduta del “muro di Berlino”, quell’azione di accertamento della verità dei fatti e delle responsabilità penali individuali riprese vigore.
È con l’attività della Commissione Parlamentare sulle stragi nazifasciste (che ha operato tra il 2003 e 2006), e successivamente grazie al prezioso lavoro svolto dalla Procura generale militare che recuperando la sua autonomia ha potuto esercitare la sua funzione, molti processi sono stati istruiti e conclusi con sentenze di condanna, anche di militari tedeschi molto anziani. Ciò dimostra che era possibile accertare e perseguire penalmente le responsabilità di quanti si sono macchiati di questi atroci delitti. Questo non per consumare una mera vendetta, bensì per fare giustizia e celebrare la certezza del diritto che classifica come imprescrittibili i crimini di guerra e contro l’umanità.
Quello che noi, rappresentanti delle istituzioni regionali, possiamo fare, e che stiamo tentando di fare oggi, è tenere acceso e ben visibile il lume della memoria perché sappiamo che nella storia di quei terribili giorni c’è parte del tessuto connettivo della nostra democrazia e dei suoi valori fondativi, delle nostre comunità locali.
La naturale riduzione dei testimoni non può offuscare la memoria di tutti coloro che – Forze Alleate, partigiani, civili, militari italiani, religiosi – offrirono nel biennio 1943-45 il meglio di cui fossero capaci. L’obiettivo è cercare una via d’uscita alternativa alla ricostruzione spesso rancorosa degli eventi, che non è solo una storia di fatti sanguinosi, di efferatezze, di morti e di corpi violati, ma è anche lo sforzo di individuare le motivazioni profonde di un periodo di grandi speranze e di crescita collettiva e di consegnare ai ragazzi e alle ragazze una conoscenza approfondita dei fatti.
Oggi il rispetto dobbiamo insegnarlo prima di tutto mantenendo viva la memoria con un approccio storico e scientifico che ricostruisca il quadro fosco di quelle stragi. In questo contesto credo sia encomiabile, e troppo spesso dimenticato, lo sforzo sostenuto dalle nostre Università e dai nostri istituti di ricerca e dai loro ricercatori e studiosi.
E fra questi mi preme ricordare soprattutto l’impegno di molti istituti storici regionali come l’Istituto di storia dell’Umbria contemporanea, l’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione delle Marche, l’Istituto pugliese per la storia dell’antifascismo e dell’Italia contemporanea, l’Istituto sardo per la storia della Resistenza e dell’autonomia, l’Istituto storico della resistenza in Toscana o l’Istituto Parri dell’Emilia-Romagna, solo per ricordare alcuni che collaborano costantemente con le scuole delle nostre regioni. Si tratta di tasselli di una “rete della memoria” che le Regioni e i Comuni sostengono in quella meritoria attività di ricostruzione storica a servizio soprattutto dei più giovani.
Questi sforzi, uniti alle fatiche di autori e scrittori come quelli che oggi qui presentiamo, sostengono la speranza di chi pensa che la memoria rappresenti le fondamenta su cui poggiano le Istituzioni della nostra Repubblica, la speranza di chi è convinto che la memoria sia radice del tempo presente e del nostro futuro. E per questo va coltivata, raccontata, spiegata, diffusa e fatta conoscere perché tra un po’ avremo pochi testimoni diretti. Perché queste storie di Resistenza sono state storie per la democrazia e la libertà.