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In un articolo su Meteoweb.eu, uno scienziato ricostruisce gli eventi sismici che hanno interessato anche l'Umbria dopo il terremoto del Fucino del 1915 e le analogie con la situazione attuale sembrano molte
terremotofucino

Il terremoto che seguita a colpire la zona umbra con al centro Gubbio, che si estende da un lato verso Pietralunga e dall’altro verso Costacciaro, Scheggia e Sigillo, è tornato all’onore delle cronache.

In verità nella zona di scosse superiori a magnitudo 2.0 ve ne sono state ogni giorno, ma ieri notte alle 22.50 la magnitudo è salita nuovamente a 3.0 con epicentro sempre in prossimità della strada della contessa.

La serie sismica quindi non accenna a diminuire e tra gli scienziati c’è chi ha tentato spiegazioni al fenomeno.

Tra questi il Prof. Enzo Mantovani (docente di Fisica Terrestre presso il Dipartimento di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente dell’Università di Siena), un esperto di sismotettonica che già in passato ha sviluppato interessanti articoli per MeteoWeb che ha ospitato una sua tesi (http://www.meteoweb.eu/2014/02/terremoti-parla-il-prof-mantovani-carte-di-pericolosita-sismica-in-toscana-ed-emilia-romagna-ulteriori-ragioni-per-rinunciare-alle-valutazioni-statistiche/259625/)

Per il professore, la ricostruzione del quadro tettonico attuale della zona centrale della penisola, fatta sulla base di una quantità enorme di informazioni, indica che l’attività deformativa e la relativa sismicità sono legate al fatto che, in risposta alle forze tettoniche (principalmente indotte dal movimento della placca adriatica) la fascia orientale della catena appenninica si muove più velocemente rispetto alla parte occidentale.
Nella zona di separazione tra la parte mobile e quella fissa si sono formate alcune fosse tettoniche (Lunigiana, Garfagnana, Mugello, Val Tiberina, Gubbio, Colfiorito, Norcia e Cascia) più o meno allineate lungo la parte assiale della catena, dove sono situate le maggiori sorgenti sismiche dell’Italia peninsulare.

In particolare, risulta che i siti localizzati nella parte orientale della catena appenninica in centro Italia si muovono circa verso Nord-Est con velocità comprese tra 3 e 5 mm/anno, mentre le stazioni che si trovano nel settore tirrenico si spostano con velocità meno che dimezzate (1-2 mm/anno) e orientate circa verso Nord/Nord Ovest.
La geometria della zona più veloce (gli Appennini umbro -marchigiani) è compatibile con la parte di catena che viene riconosciuta come più mobile in base alle evidenze geologiche. Quest’ultima fascia è composta da vari settori. Una parte corrisponde alla fascia orientale dell’Appennino centrale, che si disaccoppia dalla parte occidentale (fissa) mediante due sistemi di faglie (Fucino e L’Aquila).

Quando uno di questi sistemi si attiva con un terremoto forte, il blocco orientale, così svincolato e sotto la spinta delle forze tettoniche, subisce una consistente accelerazione verso nord, producendo un drastico aumento della compressione sul settore Romagna-Marche-Umbria e su quelloToscana-Emilia, dove di conseguenza aumenta la probabilità di forti terremoti..

Il meccanismo tettonico discusso sopra potrebbe spiegare la distribuzione delle scosse forti che sono avvenute nell’Appennino settentrionale nel periodo 1916-1920, dopo il violento  terremoto del Fucino nel 1915.

In seguito al terremoto del Fucino (1915)  il blocco  abruzzese ha avuto un avanzamento di circa 1-2 metri (come indicato dai parametri ricavati per quella scossa), cioè uno salto notevole rispetto allo spostamento estremamente lento  (qualche mm all’anno) che il blocco compie normalmente.
Quindi è facile capire come un’accelerazione così intensa, come quella prodotta dal terremoto del Fucino, abbia costretto il blocco adiacente Romagna, Marche, Umbria  ad un raccorciamento ed estrusione molto rapida, creando una situazione favorevole all’attivazione di faglie prossime al cedimento.

Dopo la scossa di disaccoppiamento di Avezzano (1915) la parte orientale dell’Appennino centrale accelera. Sotto la spinta di esso aumenta la compressione sul settore RMU che di conseguenza accelera, aumentando gli sforzi compressivi e quindi la sismicità lungo il suo fronte di interazione con il dominio adriatico (terremoti del Riminese del 1916 M= 6.0, 6.1, 5.5).
Nella scia di questo spostamento sono aumentati gli sforzi estensionali nella parte interna del settore RMU, che possono avere provocato la scossa dell’Alta Val Tiberina nel 1917 (M= 5.9).

La mobilizzazione del settore RMU si estende alla sua parte settentrionale, causando la scossa del 1918 (Appennino forlivese M= 5.9) e la scossa del 1919 nel Mugello (M= 6.3). 
La spinta dei cunei sopra citati si trasmette alla parte più settentrionale dell’Appennino settentrionale (settore Toscana-Emilia), provocando la scossa del 1920 nella zona Garfagnana-Lunigiana (M= 6.5).

Non si può non ricordare che il terremoto a L’aquila è avvento nel 2009, con la scossa principale il 6 aprile alle ore 3:32

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