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Il rapporto di Unioncamere Umbria analizza i dati del 2012 con qualche anticipazione sui risultati del primo trimestre 2013: l'impresa umbra è più "rosa" di quella italiana: solo in tre regioni le imprese femminili raggiungono una quota, nel totale delle imprese, più importante di quella dell'Umbria
Federica Angelantoni - Archimede Solar Energy- Massa Martana

Quasi una impresa su quattro (24,3%) in Italia è condotta da imprenditori di genere femminile. Per l’Umbria la percentuale è leggermente superiore (26,8%).
Alla fine di dicembre dello scorso anno (2012) l’Osservatorio dell’imprenditoria femminile di Unioncamere segnalava che le imprese “rosa” sono aumentate, in Italia, di oltre 7mila unità rispetto al 2011, con un incremento dello 0,5% della base imprenditoriale.
Il risultato assume maggiore significato se raffrontato con quello relativo al totale delle imprese italiane, cresciute nel 2012 dello 0,3%
Grazie al bilancio positivo, lo stock delle imprese femminili registrate alla fine del 2012 si è attestato al valore di 1.434.743 imprese.

La crescita delle imprese femminili è comune a tutte le regioni italiane con le sole eccezioni apprezzabili del Molise (-1%) e del Friuli Venezia-Giulia (-0,79%), visto che in Basilicata Piemonte e Marche (praticamente stabili) il segno meno è solo un dato statistico.
La distribuzione geografica delle imprese femminili nel 2012 si conferma una caratteristica del Sud e Isole

Per quanto riguarda l’Umbria il bilancio dell’anno è questa volta meno brillante rispetto a quelli degli anni precedenti: il numero di imprese femminili è aumentato di 84 unità (pari allo 0,34%) dell’anno precedente mentre il totale delle imprese è aumentato di 240 unità (pari allo 0,25%).
 
In altri termini, oltre un terzo dell’incremento del numero totale di imprese (35,0%) è da accreditare, in Umbria, alle imprese femminili. Ciò conferma l’aspetto positivo del risultato. L’analoga misura per l’Italia restituisce un valore del 33,1%, ma la variazione delle imprese femminili è stata dello 0,51%

Entrando nei dettagli e concentrando l’attenzione sulle imprese attive (piuttosto che su quelle registrate) il profilo strutturale delle imprese femminili non evidenzia, se comparato con quello del complesso delle imprese sia a livello regionale sia a livello nazionale, divergenze significative.
Fa eccezione il dato relativo delle imprese agricole. In Umbria infatti, queste sono assai più frequenti che altrove e ciò pesa, in definitiva, sugli altri comparti i quali mantengono valori al di sotto di quelli rilevati su scala del Centro Italia o dell’intero Paese.
Appare comunque di rilievo la maggiore incidenza di imprese femminili nel settore della manifattura, per lo meno rispetto alla media nazionale.
La quota rimane invece inferiore di quasi mezzo punto percentuale, pertanto non di molto rispetto al dato relativo all’Italia centrale (9,1%).

Un distacco più evidente, se mai, è nel comparto del commercio (in senso lato, sezione G del codice Ateco).
Qui, infatti, la componente femminile incide per il 27,3% del totale delle imprese umbre in quel settore mentre le corrispondenti percentuali, per l’Italia centrale e per il totale, sono pari al 30,3% e al 30,5%.
In questo caso oltre al sottodimensionamento causato dalla preponderanza delle imprese agricole gioca un ruolo la struttura interna al comparto, per meglio comprendere la quale sarebbero necessari riscontri più attenti e dettagliati. 

Nel 2012 il numero degli addetti flette in Umbria, ma non in Italia. La flessione degli organici nelle imprese femminili appare però più contenuta (-0,05%) rispetto a quanto registrato per il complesso delle imprese umbre (- 1,16%).
Nel primo trimestre del 2013, peraltro, le imprese femminili sembrerebbero aver addirittura incrementato il numero dei posti di lavoro, in Italia (+ 0,3%) e ancor più in Umbria (+0,5%)
a fronte della contrazione del numero degli occupati nel complesso delle imprese tanto nella nostra regione (- 2,1%) quanto nel resto del Paese (- 0,7%).

Per quanto riguarda il profilo strutturale dell’occupazione gli aspetti principali da sottolineare riguardano il persistere della preminenza, in Umbria, degli addetti all’agricoltura e, di conseguenza, il più attutito profilo del resto delle attività.
Tuttavia, diversamente da quanto osservato per il numero delle imprese la quota di addetti alla manifattura recupera ed è addirittura maggiore della corrispondente quota nazionale.
In effetti è da tenere presente che in questo genere di considerazioni, riferite ad una realtà di dimensioni piuttosto limitate, alcune presenze, per quanto isolate, possono condizionare il quadro osservato a seconda dei punti di vista da cui lo si osserva.
In questo caso, ad esempio, la presenza di alcune importanti realtà guidate da imprenditrici femminili (quali, per citarne una di rilievo sovranazionale, la Novamont) è in grado di esaltare, rispetto ad altre regioni, la consistenza delle imprese femminili sul fronte dell’occupazione industriale anche se poi tale aspetto si ridimensiona per la presenza di aziende ancora più grandi che però non sono guidate da mano femminile (come è, ad esempio, nel caso dell’AST-TK o dell’IBP). Comunque, ciò che alle imprese femminili sfugge nei settori più pesanti viene recuperato in molti di quelli più leggeri dei servizi, privati e collettivi.
Come si riscontra facilmente le imprese femminili si presentano con valori medi dell’occupazione per azienda piuttosto bassi. Ciò vale per l’Umbria come per il Centro-Italia e per l’Italia nel suo complesso. Tuttavia l’arco delle difformità è, nei singoli settori e tra i settori, piuttosto ampio.
Ne consegue che quasi inevitabilmente anche le imprese femminili tendono ad essere più piccole delle consorelle dell’Italia centrale o dell’intero Paese. Così è, ad esempio, per quanto riguarda le aziende di gestione di infrastrutture e servizi di rete.
Ma non lo è in un settore particolare e delicato come quello delle costruzioni.
In quest’ultimo comparto, infatti, mentre le dimensioni medie per il complesso delle imprese non sono distanti dal valore medio nazionale e sovrastano quelle relative all’Italia centrale, per le imprese femminili si ha che il divario rispetto all’Italia centrale è ancora più ampio e le dimensioni medie delle aziende sono, di fatto, allineate a quelle, maggiori, prevalenti su scala nazionale.
Anche nel campo dei servizi si riproduce la tendenza generale ricordata poco sopra: le dimensioni sono piccole per il complesso delle imprese e sono ancora più piccole per le imprese femminili anche se spesso sono più grandi delle consorelle dell’Italia centrale e/o dell’Italia nel suo complesso.
Un dato di particolare rilievo è quello che si rileva per il comparto delle imprese attive nei servizi sanitari dove, con 18,7 addetti per impresa, le aziende femminili umbre surclassano sia le imprese femminili insediate altrove, sia il complesso delle imprese regionali operanti nello stesso settore.

Un ultimo sguardo per quanto concerne i dati occupazionali va riservato alle tendenze che si profilano sulla base dell’analisi della dinamica tra il primo trimestre del 2013 e il primo trimestre del 2012
Il dato generale, già incontrato, che preannuncia un leggero ma significativo incremento dell’occupazione nelle imprese femminili appare pertanto il risultato di comportamenti assai differenziati al proprio interno.
Un cedimento assai marcato appare per il settore R, ossia quello in cui sono raccolte le attività artistiche, sportive e di intrattenimento e divertimento.
Una integrazione in qualche modo qualitativa ai dati di struttura fin qui esaminati proviene dall’analisi delle forme societarie diffuse tra le imprese.
Tanto in Italia quanto in Umbria continuano a prevalere le imprese individuali.
Le imprese femminili dell’Umbria, tuttavia, mostrano una variazione positiva, per questa voce, rispetto sia al totale delle imprese regionali e sia al totale delle imprese femminili italiane nel 2009. Per converso è inferiore la quota di società di capitale mentre allineata ai due termini di riferimento è la quota delle società di persone.
Giocano, nel definire la caratteristica appena richiamata, sia componenti strutturali (la cospicua presenza in agricoltura e, in parte, nei servizi) sia componenti culturali e caratteriali che varrebbe la pena approfondire.

Il tema dell’anno di costituzione delle imprese rileva sotto vari aspetti tra cui, particolarmente importante, è quello dell’eventuale approssimarsi dell’appuntamento con le scadenze della successione generazionale al vertice delle aziende.
Considerare l’età anagrafica delle aziende unitamente a quella degli amministratori fornisce indicazioni sulle prospettive e/o sulle possibilità di rinnovamento di pratiche e prodotti, ovvero sull’orientamento innovativo delle medesime.
Come viene confermato dai dati la presenza di imprese di una certa età è, in Umbria, meno numerosa che in molte altre regioni o nella media nazionale. Il sottodimensionamento di imprese nelle classi di età più elevata (almeno fino alla classe 1950-1959) può derivare o da una bassa natalità proprio negli anni precedenti al 1959 o da una maggiore mortalità, negli anni successivi, delle imprese nate in quel periodo oppure da un mix delle due componenti.
Considerando le caratteristiche dello sviluppo regionale e i suoi ritardi rispetto alle dinamiche delle aree più evolute del Paese si può ritenere che la componente del ritardo nella acquisizione di uno spazio per le imprese femminili abbia un ruolo non trascurabile.
Edilizia e industria nella fase primigenia della ricostruzione e sviluppo, con superamento dell’antica realtà mezzadrile, sono state quasi certamente ambiente di incubazione di imprenditorialità inizialmente maschile, mentre alla donna venivano riservati, salvo alcune particolari e vivaci eccezioni, ruoli marginali nella casa o nel lavoro irregolare spesso a domicilio a seguito del decentramento produttivo collegato alle produzioni del tessile-abbigliamento.
La progressiva modernizzazione del Paese e della regione, con la conquista di una maggiore considerazione e autonomia da parte delle donne, e in seguito la dilatazione del comparto terziario sono da ritenere alla base della robusta quota di imprese femminili costituite negli tra il 1990 e il 1999.

La freschezza delle imprese risiede a volte nella loro età anagrafica, ovvero dal tempo intercorso dalla loro costituzione, ma più spesso dipende dall’età dei loro amministratori laddove alla mancanza di esperienza la gioventù e l’entusiasmo sono in grado di contrapporre fantasia e nuove conoscenze.
Come in altre analisi di Unioncamere Umbria le considerazioni anagrafiche riguardano non solo le figure immediate e dirette dei cosiddetti “titolari”, ma anche quelle, altrettanto significative, di quanti hanno comunque importanza e ruoli decisionali riconosciuti all’interno della platea delle imprese.
Con il termine “amministratori” e dunque, in questo caso, “amministratrici” sono indicate tutte le donne cui sono state affidate cariche di responsabilità nelle imprese così come annotate nella specifica sezione dell’Osservatorio delle imprese femminili si Unioncamere.
In questo caso, l’aspetto che più richiama l’attenzione nel raffronto con le altre regioni italiane è quello della sostanziale omogeneità delle quote di pertinenza delle diverse classi di età. Tranne alcuni spunti di tre o quattro punti percentuali di differenza, tutte le regioni italiane, e dunque anche l’Umbria, vedono parte cospicua delle “amministratrici” (circa la metà, tra il 41,1% e il 51,4%), nella fascia di età compresa tra i 30 e i 49 anni.
A seguire sono le imprenditrici della classe di età immediatamente superiore, dai 50 ai 69 anni, le quali rappresentano tra il 33,0% e il 40,7% del totale.
Non sembra, pertanto, emergere uno specifico modello anagrafico nella distribuzione per età delle donne in carica nelle imprese femminili. L’Umbria, sotto questo aspetto, è sostanzialmente in linea con la media nazionale

Un dettaglio informativo supplementare può essere tratto da uno sguardo alla incidenza delle imprese femminili e giovanili allo stesso tempo, essendo definite come “giovanili” quelle imprese il cui titolare abbia meno di 35 anni (con un limite superiore, pertanto, che si colloca all’interno della classe da 30 a 49 anni di cui si è detto poco sopra).
In questo caso la quota di imprese giovanili sul totale delle imprese femminili appare leggermente più contenuta di quanto sia risultato esaminando i dati precedenti relativi alla classe di età da 30 a 49 anni.
Ciò lascia supporre – cosa che rileva solo per la completezza del quadro analitico – che la stessa classe veda il prevalere della componente “meno giovanile” in misura sufficiente a recuperare ed allinearsi ai valori medi nazionali.  

Ancora piccola nei numeri ma di crescente importanza è l’imprenditoria di origine straniera (detta anche di origine estera), quella, cioè, che dà vita alle cosiddette imprese etniche.
Non sono moltissime, si è detto: un po’ più di mille su 22 mila imprese femminili. Ancor meno appariscenti se si considera il numero totale, oltre 80 mila, di imprese attive.
Ma erano molto meno numerose pochi anni fa. Nel 2008 se ne contavano in tutto, cioè maschili e femminili, meno di 500 su un totale di 94 mila imprese (registrate).
Sono dunque una nicchia ma in crescita. E danno un contributo non da poco all’occupazione, alla creazione di reddito e anche alla diversificazione dell’offerta, specialmente in rapporto alla crescita generale del numero di lavoratori immigrati e delle loro famiglie.
Stanti i numeri limitati le comparazioni in termini percentuali sono soggette a rapidi mutamenti con imprevedibili cambiamenti di segno e/o di consistenza.
In Umbria la presenza di imprenditrici estere è anche più robusta di quella di imprenditori, sempre esteri, ma in relazione al totale delle imprese regionali attive.
Rispetto all’Italia, l’incidenza della componente estera sulla imprenditoria femminile appare più evidente se la si considera in rapporto al totale delle imprese estere, ma è più contenuta se la si valuta in termini di incidenza sul totale di imprese presenti sul territorio. In altri termini, e come già si è ricordato, le imprese estere non sono ancora così numerose come si osserva nel contesto nazionale ma al loro interno è particolarmente pronunciata, una volta di più, la quota di imprese femminili. Un fenomeno, peraltro, in rapida crescita.

Un aspetto particolare è relativo al fatto che, nell’artigianato e in Umbria, sono femminili quasi un quinto (18,6%) delle imprese artigiane in totale con una incidenza dell’1,8% sul totale delle imprese artigiane femminili italiane, quindi con una quota leggermente superiore a quella (1,4%) che in genere misura il peso dell’economia umbra sul totale nazionale.
Il contributo più rilevante proviene dalla manifattura (34,8% del totale delle imprese femminili artigiane) e a seguire dalle “altre attività dei servizi”, una divisione statistica che raggruppa tutti i servizi non altrove menzionati nella classificazione e, in particolare, include i servizi di lavanderia e pulitura (a secco) di articoli tessili e in pelliccia, i servizi degli acconciatori ed altri trattamenti estetici, i servizi di pompe funebri e le attività connesse.
 

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