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Lo sviluppo di terapie passa per l’approccio farmacogenomico dove il farmaco viene messo a punto per agire sul danno specifico causato da determinate mutazioni. Per questo, conoscere esattamente da quali mutazioni un paziente è affetto rappresenta il punto di partenza della ricerca ai fini di offrire le migliori terapie.
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Il lavoro svolto fino ad oggi dalla “Rete per le Malattie Rare della Retina’ ha permesso di analizzare il profilo genetico di circa 550 famiglie colpite da malattie genetiche rare della retina.
I campioni attualmente raccolti provengono soprattutto dalla Lombardia, in ragione della popolosità della regione e dell’adesione di due diversi centri di riferimento.
La seconda regione rappresentata in termini numerici è il Lazio in virtù soprattutto della collaborazione iniziata con il Gemelli.
La rete tuttavia ha già dimostrato la capacità di saper attrarre pazienti da tutta la penisola e dar loro risposte e sono in crescita anche i pazienti che dall’estero si avvalgono dei servizi di questa Rete.

Anche dall’Umbria cinque famiglie si sono avvalse dalla rete ed è un numero che, a parte quello del Lazio, è di tutto rispetto nell’Italia di mezzo, superiore a quello di Marche e Toscana

Anche se un registro esaustivo delle malattie genetiche rare della retina manca tuttora, di esse se ne stimano migliaia di casi all’anno solo in Italia,.
Contribuire a costruirlo è uno degli obiettivi di MAGI  – l’Istituto non profit di genetica specializzato nella diagnosi di malattie rare e guidato dal genetista Matteo Bertelli, che ha iniziato tre anni fa l’impresa alla quale partecipano il Policlinico A. Gemelli e a Milano gli Ospedali Luigi Sacco e San Paolo
Si tratta di un Network di eccellenze cliniche che consente a pazienti pediatrici e adulti di passare, in tempi eccezionalmente brevi rispetto a pochi anni fa, dal sospetto diagnostico alla definitiva e appropriata diagnosi molecolare.
In questo modo e solo così, potranno beneficiare di una presa in carico medica che va dalla consulenza genetica familiare alla riabilitazione fino all’inserimento nei più avanzati trial clinici.

Le malattie rare della retina sono una delle principali cause di cecità nel nostro Paese e rappresentano un gruppo molto ampio di patologie con sintomatologia e decorso anche assai differente.
L’arrivo recente dei test che consentono di avere una diagnosi certa e la classificazione uniforme dei pazienti che solo ora questa Rete sta attuando dovrebbe portare nel giro di poco tempo a superare questa difficoltà.
Un lavoro di rilievo sia dal punto di vista della ricerca scientifica – perché ha permesso di scoprire 20 nuove mutazioni responsabili di queste malattie – sia della pratica clinica, perché l’individuazione sempre più precisa della correlazione tra mutazioni e manifestazioni cliniche (correlazione genotipo – fenotipo) permette ora di dare una prognosi più accurata ai pazienti.

La ricerca di nuove terapie  è parte integrante delle attività di questa Rete, studi preclinici e clinici sono infatti in corso sia al San Paolo di Milano sia al Gemelli di Roma, e c’è una particolarità che emerge: su tre farmaci in sviluppo nei centri della Rete due sono di origine naturale.
"Al San Paolo stiamo studiando un collirio che deriva da un fungo e sul quale l’università di Milano ha mantenuto il brevetto – spiega infatti la dottoressa Pierrottet -.
Al momento lo studio è  fermo al livello preclinico. Sono stati fatti studi sui topi con ottimi risultati.
Questa molecola ha mostrato di saper bloccare il processo di apoptosi – cioè di ‘morte programmata’ – delle cellule della retina nella retinite pigmentosa
: se funzionasse sull’uomo usata in fase precoce potrebbe essere la svolta per questi pazienti. Per andare avanti però servono fondi".

Di eccellenza tanto sul fronte della diagnosi quanto su quello della ricerca farmacologica è anche l’esperienza della collaborazione tra MAGI e il Policlinico Gemelli di Roma, il secondo Centro clinico ad aver aderito alla Rete .
Non è un caso che il Lazio sia secondo solo alla Lombardia per il numero di famiglie che hanno effettuato test al laboratorio di Magi.
Qui si stanno portando avanti due importanti sperimentazioni farmacologiche.
La prima è dedicata ai pazienti con la malattia di Stargardt affetti da una specifica mutazione. "La terapia in questione – spiega il prof. Benedetto Falsini, dirigente medico dell’UOC Oculistica del Gemelli – si basa sulla somministrazione orale di un derivato dal crocus sativus, cioè lo Zafferano, e mira a contrastare il danno.
Siamo già alla fase due di sperimentazione sui pazienti, che prevede di validarne l’efficacia, grazie al finanziamento avuto da Telethon, e con risultati interessanti e stiamo ancora arruolando pazienti.

C’è poi una seconda sperimentazione che utilizza il Nerve Grow Factor (NGF), la proteina scoperta negli anni 50 da Rita Levi-Montalcini e che le è valso il Nobel anche qui con  risultati soddisfacenti.
La prima malattia per la quale abbiamo sperimentato il NGF è il glioma delle vie alte, una malattia rara di origine genetica che causa un danno molto serio e che porta in genere alla cecità già nell’infanzia.
Abbiamo già concluso la sperimentazione di fase uno sui pazienti e abbiamo anche osservato in alcuni casi un parziale recupero oltre al rallentamento della progressione. Ora attendiamo di poter partire con la seconda fase di studio”.
 

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