Spesso il motivo principale che determina la diffidenza degli umbri verso gli stranieri non è né la razza né la religione quanto il fatto che essi, quando si trovano insieme in un luogo pubblico preferiscono colloquiare fra loro utilizzando la propria lingua anziché l’italiano. Atteggiamento comprensibile che però ha un rovescio della medaglia comune a tutti, anche a loro quando all’inizio non capiscono l’italiano, chi ascolta non capisce e se non capisce si immagina cose strane.
Quest’ultimo passo se fatto, invece, porterebbe ad elevare l’integrazione che in Umbria è già buona.
La nostra regione è, infatti, già sul podio della classifica delle regioni che offrono agli stranieri le migliori condizioni di inserimento socio-occupazionale e il piu’ alto indice potenziale di integrazione .
Per quest’ultimo, dopo il Friuli Venezia Giulia (con un valore dell’indice di 70,6 su scala 1 a 100) e la Toscana (66,0), viene appunto l’Umbria (65,7).
Se si considera solo l’indice di inserimento sociale, che misura il livello di accesso degli immigrati ad alcuni beni e servizi fondamentali di welfare, le migliori condizioni si registrano in Friuli V. G. (71,6), Umbria (70,5) e Marche (69,0)
Lo rileva il’VIII Rapporto del CNEL sugli Indici di integrazione degli immigrati in Italia.
Il Rapporto si serve di 15 indicatori statistici, suddivisi in 3 gruppi tematici di 5 indicatori ciascuno. Ogni gruppo corrisponde a un indice sintetico che attraverso i suoi 5 indicatori di base, misura l’attrattività dei territori, l’inserimento sociale e occupazionale degli immigrati.
Per l’inserimento sociale gli indicatori sono quelli: di accessibilità al mercato immobiliare (% dei costi d’affitto medi annui nominali di una casa di 50 mq in zona periferica sul reddito medio annuo pro capite stimato della popolazione straniera non comunitaria), l’istruzione liceale (% di iscritti al liceo), tenuta del soggiorno stabile (% di permessi di soggiorno in vigore dopo un anno), naturalizzazione (numero medio di naturalizzati), capacità di iniziativa familiare (% di famiglie il cui capofamiglia è straniero sul totale delle famiglie con almeno un componente straniero).
Infine, per l’Indice di inserimento occupazionale, che misura il grado e la qualità della partecipazione al mercato del lavoro, gli indicatori sono quelli di impiego della manodopera immigrata (% dei nati all’estero tra i lavoratori risultati occupati nel corso dell’anno), capacità di assorbimento del mercato lavorativo (numero medio di lavoratori nati all’estero assunti nel corso dell’anno ogni 100 che, durante lo stesso anno, hanno cessato il rapporto di lavoro), reddito (importo, in euro, del reddito medio annuo pro capite stimato della popolazione straniera di paesi esterni all’UE a 15 Stati), tenuta occupazionale femminile (% delle lavoratrici nate all’estero risultate occupate nel corso dell’anno che non hanno conosciuto cessazioni del rapporto di lavoro durante lo stesso anno), lavoro in proprio (% di titolari d’impresa stranieri sul totale dei titolari d’impresa).