Suor Maria Angelica Pietrini (nata Elvetica Pietrini) in occasione del 100° aniversario della sua nascita e del 75° anniversario della sua consacrazione al Signore prima come Terziaria Minima e poi nel 1967 come Monaca delle Minime del secondo ramo dell’Ordine dei Minimi di San Francesco di Paola, ci racconta le difficoltà e le gioie della vita claustrale attraverso un’epoca che ha visto progressivamente cambiare la scala di importanza dei valori da quelli spirituali a quelli strettamente materiali:
“Nel mio 100° anniversario ringrazio il Signore che mi ha concesso di scegliere la parte migliore del rapporto con Lui, la vita contemplativa (come Maria) assaporando quella la parte di eternità che non mi è stata tolta e non mi sarà tolta fino alla fine dei giorni terreni.
Quando arrivai presso il Monastero delle Minime Paolane della Rocca nel 1945 erano in presenti diciannove suore; il Monastero situato nel punto più alto della città detto “il nido della rocca” è stato il luogo dove ho trascorso la mia vita al servizio dei fratelli nel mondo; giorno per giorno con la mia vita di contemplazione ho cercato di mettere in pratica la specifica spiritualità quaresimale della comunità di San Francesco di Paola: “la Monaca Minima, felice di potersi associare in linea corredentiva, personalmente e concretamente a Gesù crocefissso, trasforma ogni momento della sua vita in una totale oblazione a Dio, animata dalla carità, al fine di impetrare grazie a favore di tutti gli uomini” (tratto dal “Directorio”).
Fin dalla mia gioventù ho seguito il mio Signore, camminando con lo sguardo fisso in Colui che mi amò così tanto da volermi tutta per sè!
In questo giorno speciale di rendimento di grazie e di grande gioia per la mia vita e per quella della comunità delle suore Minime della Rocca vorrei riflettere insieme a tutti voi che parteciperete e mi starete vicino con la preghiera su una domanda fondamentale della vita di ogni uomo: perché Dio ci ha creati? Per conoscerlo, amarlo, servirlo in questa vita e goderlo pienamente nell’eternità; assaporando già in questa vita, pur tra le tante sofferenze e pur portando la croce, la gioia di vivere nel suo amore.
La mia bella lunga vita agli occhi del mondo di oggi sembra una vita sprecata, è simile al chicco di grano che messo sotto terra non si vede nei mesi invernali, è nascosto, protetto, ma quando germoglia e cresce porta il pane al mondo.
La mia vita di clausura è una vita donata, una risposta dell’amore che c’è in noi: “è soltanto cadendo in terra, morendo, proprio come Gesù si è donato a noi morendo in Croce, che noi sprigioniamo l’amore”: ma solo la fede ci può permettere di vedere il frutto, solo con la fede possiamo intuire la bellezza del dono di una vita nascosta, di contemplazione ma dedita a moltiplicare la vita e l’amore sulla terra.
Come mi piacerebbe che le giovani donne di oggi conoscessero la realtà della clausura, sono certa che ne resterebbero meravigliate ed allora forse capirebbero la chiamata che il Signore ancora oggi rivolge ad alcune di loro.
Penso proprio a questo quando ascolto parlare di carenza di vocazioni: il Signore continua a chiamare, ma la confusione del mondo non fa sentire e dunque non si può rispondere, non penso che ci sia mancanza di vocazione penso senz’altro che mancano risposte coraggiose.