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La tendenza delle manovre dei vari governi europei è chiaramente quella di abbassare i livelli di garanzia sociale verso quelli, quasi inesistenti, della concorrenza dell'estremo oriente anzichè adopersi affinchè quest'ultimi si elevino
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Negli anni ’70 fu famoso, come il film portato da protagonista sullo schermo da Jane Fonda, un romanzo dal titolo “sindrome cinese”.
Con tale titolo si voleva intendere che il nocciolo di un reattore nucleare, in caso di fusione, avrebbe – teoricamente – perforato ed attraversato tutta la Terra per sbucare agli antipodi: la Cina rispetto all’America.
Ora anche l’Europa e l’Italia corrono un rischio analogo ed il titolo resta appropriato, perchè ciò che si rischia è che la società europea, coi suoi valori culturali e le sue garanzie sociali, si livelli sui valori e sulle, poche o nulle, garanzie cinesi.
Le “manovre” in corso
in vari paesi europei, dopo la crisi scatenata dalle speculazioni finanziarie poste in atto sicuramente non dalle classi medie e basse, stanno pesantemente incidendo su una serie di protezioni sociali. Farne l’elenco occuperebbe troppo tempo e sarebbe inutile, anche perchè sono sotto gli occhi di tutti.
Di fatto si sta ripetendo su grande scala quanto avvenne per l’Italia con l’introduzione dell’euro.
In tal modo due distinti vasi (l’Italia ed il resto dell’europa) vennero resi comunicanti ed in base ad una legge fisica finito il travaso dal vaso più pieno a quello più vuoto il liquido si posizione ad un eguale livello nei due vasi.
Il livello di un vaso scende, quindi, mentre quello dell’altro sale.
In verità quello che prevede la fisica, non sempre accade quanto interviene il fattore umano.
E così con l’euro l’Italia si ritrovò i più alti prezzi europei, perchè nessuno riusci a contrastare il travaso fisico che interessava potenti classi produttrici e finanziarie.
Viceversa la debolezza dei lavoratori italiani e l’ingordigia degli imprenditori, che  passarono rapidamente dall’usare ed abusare della svalutazione periodica della lira, a fare da “tappo” per i livellamenti salariali, ha rallentato grandemente, per molti ma non per tutti, il livellamento ad un gradino più alto.
Fortunatamente non ci furono grandi conseguenze sul versante sociale salvo per gli aspetti più strettamente collegati alla ricerca del massimo profitto economico.
Ora però il vaso comunicante è la Cina.
Un paese con una economia di mercato, ma con un grosso “tappo” costituito da una tutela del lavoro quasi inesistente ( lì grosse multinazionale fanno firmare ai loro dipendenti che realizzano prodotti venduti in occidente con marchi occidentali anche impegni a non suicidarsi.
Anche in questo caso quindi i vasi comunicano in base a quelli che sono gli interessi dei più forti i quali hanno tutto da guadagnare se il livello sociale dei lavoratori cinesi, ma non solo, rimane basso.
Bassi salari, tempi di lavoro giornaliero di 12 ore e più, lavoro minorile raggiungono il duplice scopo di stoppare le proteste (il cervello funziona se la pancia è piena) e di assicurare lauti guadagni tra costi “cinesi” e prezzi di vendita “occidentali.
Per questo il sostegno allo sviluppo dei diritti umani in Cina è così blando e per questo è forte il desiderio di comprimere quegli stessi diritti in occidente.
Ma se il vaso dei diritti in Cina non si riempirà velocemente l’economia occidentale sarà strangolata dall’invasione di prodotti realizzati con costi da dumping e venduti ai prezzi storici occidentali, con imprenditori che terranno il piede nelle due staffe: in Cina a produrre ed in Europa a vendere e guadagnarci oltre ogni limite.
Fortunatamente qualche timido segnale di reazione c’è, anche se le istituzioni europee sono chiaramente nelle mani di chi rappresenta interessi diversi da quelli dei lavoratori e consumatori.
L’Ocse nel rapporto sulle ‘Prospettive dell’Occupazione’ sottolinea che è necessario «creare gli incentivi giusti perchè le aziende assumano».
Oltre a sussidi temporanei per le assunzioni e agli sforzi per migliorare le qualifiche di quanti cercano lavoro, questo dovrebbe includere «un riequilibrio della protezione» del lavoro tra i contratti permanenti e i temporanei, che hanno pagato il prezzo più alto durante la crisi. In questo modo «si permetterebbe ai lavori a tempo determinato di funzionare meglio come fase di passaggio verso un lavoro permanente e non come una trappola».

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