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Se la crisi è comune ad altri vini umbri, scarsa sembra l'attenzione dei produttori verso una promozione del prodotto che invece a Montefalco privilegiano
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Dopo il Sagrantino nei discount,  anche il vino d’Orvieto pensa ad un ridimensionamento puntando però alle diminuzione della produzione anziché dei prezzi di vendita.
Ciò dopo la constatazione che le giacenze di vino sfuso,  tra il 30 giugno del 2009 e il 30 giugno 2010 hanno registrato un aumento di 29 mila 935 ettolitri, pari al 46 per cento.
In una lettera aperta i produttori – tra loro anche la Cantina Monrubio guidata dall’enologo di fama internazionale Riccardo Cotarella, le aziende Decugnano dei Barbi, Antinori, Barberani e la Cantina dei Colli Amerini-  hanno lanciato l’allarme sulla crisi economica che sta attraversando il settore vitivinicolo e hanno avanzato delle proposte sulla gestione del periodo di difficoltà.
La proposta è regolare l’offerta di vino in base alla domanda in modo da sostenere i prezzi non solo del prodotto sfuso, ma anche di quello in bottiglia, programmando interventi di anno in anno sulla resa massima di uva per ettaro e abbandonando la politica dei prezzi bassi.
Secondo i produttori  "la politica dei prezzi bassi in bottiglia operata su grande dimensione obbliga tutti i partecipanti alla filiera ad un orientamento del prezzo verso il basso fino all’abbandono del prodotto perchè non più remunerativo. Questa politica, a nostro avviso, non può che portare alla fine dell’Orvieto".
I produttori hanno giudicato invece positiva la decisione della Regione dell’Umbria di bloccare «un’azione sventurata orientata ad aumentare la produzione per ettaro rivendicabile da 110 quintali a 120». «È evidente – hanno sostenuto ancora – che non è solo la produzione per ettaro che va gestita in un prossimo futuro, ma l’intero impianto della denominazione oltre che le impostazioni di mercato.».
In tutto ciò, ovviamente, nessun vantaggio per i consumatori che saranno così indotti a ridurre il consumo o ad optare per prodotti di più bassa qualità, magari cinesi. Un contenimento della produzione spropositata è certamente accettabile, ma qui si rischia di passare al razionamento e, per quanto famoso, il vino d’Orvieto non sembra avere più quegli affezionati cultori che, per esempio, ha il Sagrantino.
Il vino di Montefalco, nonostante la sovra-produzione, è ritenuto – grazie ad una sapiente e costosa politica di promozione – un gran vino, anzi grandi vini, secondo l’ultimo numero dell’edizione web della newsletter «The Wine Advocate», edita dal critico enologico statunitense Robert Parker.
In una lunga recensione, pubblicata dal giornalista americano di origine italiana Antonio Galloni nella sua rubrica «In the Cellar» (In Cantina), e dedicata ad un viaggio fra le eccellenze vitivinicole del sud e del centro Italia – è detto in una nota della Regione -, al Sagrantino di Montefalco (in buona compagnia fra Cannonau, Nero d’Avola, Nerello Mascalese, Montepulciano, Negroamaro, Fiano di Avellino, Verdicchio, Vermentino e Carricante) vengono dedicate parole lusinghiere, cui corrispondono, nelle schede di degustazione dei vari vini, punteggi altrettanto confortanti.
Nella classifica stilata da Galloni, quattro vini di Montefalco figurano tra i primi 10 dell’Italia del Centrosud, isole comprese, ed oltre 20 ottengono punteggi sopra i 90/100: a quota 94, ci sono due vini di Arnaldo Caprai, uno di Giampiero Bea ed uno di Milziade Antano. 
Noto in passato come vino da dessert da bersi a soprattutto a Pasqua, oggi il Sagrantino è conosciuto come un vitigno che dà origine a grandi vini rossi secchi.

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