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Partendo dalla leggenda della fondazione, riflessione sul fiorire di grandi cantieri per grandi opere in un'area di territorio esondabile
leggenda-aquila


Narra una vecchia leggenda che Todi dovesse sorgere ai piedi del “colle”, sulla pianura tra Ponterio e Pian di San Martino, ma tra le intenzioni dei fondatori che iniziavano a tracciare  le mura, mentre riposavano intorno ad una tovaglia imbandita  con un  po’ di cibo, ci si metteva un’aquila, che abbassando il volo dai cieli, afferrava la  tovaglia  e la portava via, davanti agli occhi esterrefatti dei fondatori della città. 
Poco dopo l’aquila  abbassava nuovamente il volo e lasciava cadere la tovaglia sulla sommità del colle.  I fondatori della nuova città iniziarono a pensare che questo era un segnale inviato dagli “dei” per indicare il punto più adatto dove costruire.  A tale gesto seguirono le scele dei fondatori che iniziarono a costruire sul sito indicato. 
La leggenda si è consolidata nel tempo tanto da essere rappresentata  da poeti e pittori, con dipinti che spiccano “maestosi” in molti luoghi della città. L’aquila è diventata persino lo stemma della città.

La leggenda mi è tornata  in mente in questi giorni, quando passando per  Ponterio sembra di assistere al sorgere di una nuova città.  La stessa sensazione accompagnata anche da altre riflessioni mi è tornata in mente, leggendo alcuni commenti, sulla costruenda rotatoria di Porta Romana” e sulle conseguenze che ne dovrebbero scaturire per l’intera area.
Solitamente si tende ad accostare alcune vicende delle città alla leggenda, alla tradizione o ad alcuni fenomeni poco naturali. Spesso i racconti terminano con il detto: "e la leggenda si ripete….".
A Todi non è accaduto così. Anzi, il fiorire di grandi cantieri per grandi opere (non necessariamente  indispensabili) per riqualificare alcune zone sembra rappresentare il contrario. Evidentemente “l’aquila” questa volta ha fatto il volo inverso: dall’alto è scesa in basso. Nemmeno le aquile sono più quelle di una volta, visto che questa volta si è posata in uno dei luoghi più bassi, in uno dei pochi spazi esondabili.
Ma la sfida è continuata ugualmente, anche se è necessario ricorrere ad opere che eliminano (se li eliminano) i rischi derivanti dalla esondabilità. 
Per uno che è nato in campagna come me  viene da chiedersi: ma in un territorio comunale prevalentemente collinare valeva la pena progettare il futuro nell’unico punto “altimetrico” più basso di tutto il territorio?
Non valeva forse la pena di lasciarlo all’agricoltura anche per non rinunciare troppo agli equilibri naturali ed intervenire solo ed esclusivamente con opere di riqualificazione dall’impatto più sostenibile sotto ogni profilo, e che avessero restituito a Ponterio gli spazi ed il verde che nel tempo gli sono stati sottratti ?
Forse ne avrebbe guadagnato Ponterio ed i suoi abitanti, le sue attività artigianali e commerciali, e sicuramente sarebbe stato un luogo di migliore impatto per i turisti che escono a dalla  E 45  a Ponterio  per visitare Todi. 
Assicuro che questa riflessione un po’ particolare  non vuole essere nè una polemica
nè una critica, ma un contributo ad una dialettica su di un argomento che  paradossalmente  potrebbe  influenzare lo sviluppo della città e del suo centro storico.
Il futuro, il domani, si decide oggi, come le scelte di ieri influenzano  la situazione attuale.

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