Il Ministro dell’Interno, Roberto Maroni, il 26 gennaio 2009 ha emanato una direttiva sulle manifestazioni nei centri urbani e nelle aree sensibili ,che ha fatto felici quanti si trovano talvolta imbottigliati dal caos del traffico conseguenza di cortei e manifestazioni e subiscono danni per ritardi ad andare al lavoro o in altri luoghi.
Ma così anche un altro piccolo pezzo della libertà, che resta in Italia, di far conoscere il proprio parere e le proprie idee se ne andato.
I cittadini, recita l’articolo 17 della Costituzione italiana, hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi. Devono dare, inoltre, preavviso delle riunioni in luogo pubblico alle autorità, che potranno vietarle soltanto per «comprovati» motivi di sicurezza o di incolumità pubblica.
La Costituzione italiana, che taluno vorrebbe “rimodernare”, ha un enorme pregio. È nata sulle esperienze maturate in un periodo storico in cui tutte le libertà sono state poco per volta annullate, in cui l’opinione pubblica è stata plasmata a piacimento dal “potere” annullando tutte le voci discordanti.
Per questo la Costituzione, a larghissima maggioranza, è stata ritenuta da chi ne aveva sofferto la mancanza, un baluardo contro il ripetersi di quelle situazioni.
Ma poi i ricordi sbiadiscono e, presi dall’infernale ritmo imposto dalla vita moderna, sia scambia quello che è un aiuto per un ostacolo.
E così di fatto si accetta un divieto generalizzato di manifestare in pubblico.
Il Governo può, cioè, proibire in via preventiva cortei, adunanze o sit-in in determinati luoghi, solo ipotizzando teoricamente che lì c’è un rischio sicurezza.
Il passo successivo potrebbe anche essere quello che sia stabilito che è rischioso che due persone camminino affiancate in strada.
La logica sarebbe la stessa" ciò ch è buono per il governo è buono per il popolo"
Su quanto spazio resta, in sostanza, per la libertà di riunione in luogo pubblico si interrogano le associazioni, i sindacati ma anche i semplici cittadini e alle quali prova a dare una risposta Silvio Troilo, docente di Istituzioni di diritto pubblico all’Università di Bergamo, in un saggio pubblicato sul sito dell’associazione dei costituzionalisti italiani.
La direttiva, è il caso di ricordarlo, è stata emanata all’indomani delle preghiere islamiche del 3 gennaio scorso davanti al Duomo di Milano e alla basilica di San Petronio a Bologna.
Il provvedimento, in sintesi, invita i Prefetti a stabilire regole – d’intesa con i Sindaci e sentito il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica – per «sottrarre alcune aree alle manifestazioni. Zone, precisa l’atto di Maroni, «a forte caratterizzazione simbolica per motivi sociali, culturali o religiosi (ad esempio cattedrali, basiliche o altri importanti luoghi di culto)» oppure che siano caratterizzate – anche in condizioni normali – da un «notevole afflusso di persone» o «aree nelle quali siano collocati obiettivi critici».
Appena che ci si pensi quell’elencazione ricomprende tutto il mondo conosciuto, salvo forese i deserti.
Il prefetto di Bologna, ad esempio, con ordinanza del 18 febbraio ha vietato fino al 30 settembre 2009 cortei e manifestazioni (salvo le tradizionali cerimonie a carattere storico, religioso e commemorativo e i comizi elettorali) nei giorni di sabato pomeriggio e di domenica in alcune piazze e vie del centro storico felsineo.
Un provvedimento analogo è allo studio a Milano. Il Sindaco Letizia Moratti e il Prefetto Gian Valerio Lombardi hanno individuato una prima “mappa” di spazi da vietare (tra questi Piazza Duomo, Corso Vittorio Emanuele, Piazza Mercanti, Piazzetta Reale, Piazza Sant’Ambrogio, Piazza Cordusio e Piazza Scala) che sarà sottoposta al vaglio del Comitato per l’ordine e la sicurezza e alle forze sociali.
Il fatto che i rischi per la sicurezza debbano essere «comprovati», spiega il professor Troilo, comporta che il divieto dell’autorità dovrebbe poggiare su una «esauriente motivazione» rispetto alla «situazione concreta». Devono esserci, insomma, rischi e pericoli specifici da valutare caso per caso. L’«invito» ai prefetti di Maroni, invece, dà la possibilità di vietare in via preventiva e generale le manifestazioni in determinati luoghi sensibili. Non è l’unico appunto mosso al provvedimento ministeriale.
Le principali perplessità riguardano la possibilità di stabilire un divieto di riunirsi in determinati luoghi «al fine di proteggere il valore simbolico di questi ultimi e non l’eventualità che, anche e proprio a causa di tale valore simbolico, possano motivatamente desumersi pericoli per la sicurezza, l’incolumità, la sanità».
La protezione di un simbolo collettivo, argomenta Troilo, rappresenta sì un modo «per tutelare la comunità che in esso si rispecchia, ma vietare preventivamente ed in via generale ogni manifestazione pubblica in luoghi simbolici» significa che tutte le riunioni siano potenzialmente lesive di quei simboli.
E, soprattutto, osserva il costituzionalista la direttiva appare irragionevole in quanto non considera l’esigenza, opposta, di «visibilità nell’opinione pubblica e di “impatto” sui terzi» perseguita dai manifestanti.
Visibilità che il più delle volte è soddisfatta proprio dal valore simbolico del luogo prescelto per la riunione. Se, insomma, cortei e manifestazioni li spostiamo in periferia a che serve, vien da chiedersi, scendere in strada?
- Redazione
- 24 Maggio 2009
Condividi su facebook
Condividi su twitter