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Ancora una volta ad essere condannate è una società a capitale pubblico che cambia i postini ogni tre mesi, non preoccupandosi nemmeno di un servizio che dovrebbe essere continuativo e puntuale

I cultori del lavoro precario a termine, che hanno preso il sopravvento sostenuti da politici yuppie, potranno avere, anche se difficilmente lo capiranno, motivi di soddisfazione da una sentenza che viene dall’Umbria.
Si strapperanno magari le vesti per il vulnus alla flessibilità del lavoro, ma forse, se la tendenza si consoliderà rapidamente, potranno evitare che quella rabbia, che cova nelle generazioni giovani, non poi così tanto visto che la precarietà coinvolge lavoratori vicini ai 40 anni, scoppi così come sta avvenendo in Francia – ma è solo un antipasto – con manager ed imprenditori sequestrati da chi perde il posto di lavoro.
L’opportunità per molti di evitare guai viene da una decisione del Tribunale di Perugia che, accogliendo il ricorso proposto da una lavoratrice precaria delle Poste, difesa dall’avvocato Siro Centofanti, ha dichiarato la nullità della clausola a termine e ha disposto la trasformazione del suo rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
La lavoratrice, assunta come portalettere nella filiale di Foligno, aveva lavorato per quattro mesi dall’ottobre 2001 al gennaio 2002 e poi per un altro breve periodo nel 2002. Nel ricorso l’avvocato Centofanti aveva sostenuto, in particolare, la nullità della clausola a termine per non avere le Poste rispettato gli adempimenti procedurali previsti per tali casi.

Il Tribunale, ha riferito il legale, ha condiviso tale impostazione e ha condannato le Poste a reintegrare la lavoratrice a tempo indeterminato e a pagarle tutte le retribuzioni arretrate dal 2005 e precisamente dalla data in cui, con lettera spedita dall’avv. Centofanti, aveva offerto formalmente le sue prestazioni lavorative.
«La sentenza è significativa – ha commentato il legale – perchè ha rilevato la nullità della clausola a termine sulla base di una innovativa impostazione di tipo procedurale, affermando così un principio che può valere anche per casi analoghi di lavoratori precari.


Lo scandalo di assunzioni a termine, proprio da parte di imprese a maggioranza di capitale pubblico
, per lavori che invece sono a tempo indeterminato e che sono attuate solo per risparmiare, a danno dei servizi da erogare, e poi magari fanno vedere che ci sono più occupati, perché un lavoro annuale è diviso per quattro, ha subito un altro stop, un’altra occasione per fermarsi, da parte del mondo politico ed imprenditoriale, in tempo. 

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