Viene, con preoccupazione, da chiedersi, se la crisi agli inizi e che potrebbe evolversi in modo negativo col federalismo fiscale, nonché con le “strette” dell’economia pubblica, possa essere sopportata agevolmente da un popolazione che, come ha rilevato l’agenzia Umbra Ricerche, eccelle nel consumo degli antidepressivi e presenta, dopo la Sicilia, la maggior percentuale di popolazione disabile e redditi medi per abitante molto più bassi di quelli degli occupati.
Anche la qualità della vita potrebbe avere dei contraccolpi. Una qualità della vita buona che mette in rilievo le numerose eccellenze dell’Umbria: speranza di vita, partecipazione elettorale, aiuti informali, abitazioni in affitto, obbligo scolastico, condizioni dell’abitare, tempo di pendolarismo quotidiano, immigrazione ospedaliera, disponibilità di verde urbano, che tuttavia è inquinato dall’alto valore delle polveri sottili, dove la regione occupa il quinto posto su scala nazionale.
In base alle dichiarazioni dei redditi ai fini dell’addizionale comunale Irpef, il reddito in totale ammonta a quasi 9 milioni di euro, concentrato per tre quarti nella provincia di Perugia, per il 37% nei due comuni maggiori di Perugia e Terni e, per il 52%, cioè per una quota superiore a quella della popolazione, che è del 46%, nelle cinque città più grandi dell’Umbria.
Il Comune di Perugia primeggia, per reddito medio imponibile, su quello di Terni (21.695euro contro 20.132). I Comuni più “poveri” sono Monteleone di Spoleto in provincia di Perugia (reddito medio poco più di 14 mila) e Guardea in quella di Terni (reddito poco più di 15 mila).
Per quanto riguarda le dichiarazioni dei redditi ai fini generali Irpef, il livello medio umbro si attesta a 16.234 euro, superiore soltanto alle Marche e inferiore a tutte le altre regioni del centro nord. Il 47% dei dichiaranti dichiara redditi da lavoro dipendente, il 42% da pensioni, solo il 16% da lavoro autonomo.
In Umbria la spesa pubblica pro capite è inferiore alla media nazionale ma questo dato, che dovrebbe ammortizzare i contraccolpi del federalismo, non mette del tutto al riparo.
Infatti “la nostra capacità fiscale – ha detto l’assessore regionale Riommi – è tra il 94 e il 101 per cento e dalla perequazione non si trarranno vantaggi, nè si potrà contare sulle economie di scala delle grandi regioni. Se nei decreti attuativi del federalismo, al momento di ripartire le cifre, si terrà conto che la gestione dei servizi in Umbria ha costi inevitabilmente maggiori a causa delle sue ridotte dimensioni, non ci sarà alcun rischio per il livello dei servizi stessi”.
Se questa considerazione non ci sarà, peserà di più il fatto che seppur la quota di trasferimenti statali è passata da 1.155,5 euro pro capite del 1996 ai 330,5 del 2006, facendo in ogni caso segnare un valore più elevato della macroarea costituita dalle regione dell’Italia Centrale, anche se inferiore al dato nazionale (pari a 358,7 euro pro capite).
Trasuda ottimismo, molto più dell’assessore regionale, il sindaco di Terni, per il quale “alla prova del federalismo fiscale, fondato sul superamento dei trasferimenti a copertura di costi e sul passaggio alla valutazione di equi costi standard del servizio, il Comune di Terni si presenta in condizioni di assoluta competitività”.
In materia di dipendenti e spesa del personale, ad esempio, – continua Raffaelli in un comunicato – Terni è al 43mo posto della graduatoria nazionale, con 82 dipendenti ogni 10 mila abitanti per un costo unitario di 40.774 euro. Si tratta di dati raffrontabili con altre realtà del buongoverno e dell’eccellenza amministrativa nazionale come Milano, Firenze, Ferrara, Rovigo, Pistoia, Livorno, Macerata, Rimini e Reggio Emilia.
“Ancora migliore – continua Raffaelli – è la valutazione, relativa alla medesima elaborazione, per quanto riguarda i servizi generali ai cittadini, l’istruzione, la cultura e l’assistenza. Con 311 euro di spesa per i servizi generali per ciascun abitante, Terni è al 37mo posto in Italia, con uno standard paragonabile a quello di Trieste, Verona, Perugia, Udine e Padova”.
Nella graduatoria per l’istruzione, con 92 euro per abitante, Terni è al 39mo posto mentre per la cultura il Comune spende 43 euro per abitante, uno standard analogo a quello di città come Varese, Pisa, Livorno, Vicenza, Ravenna.
Malgrado il forte impulso dato nel decennio ai servizi sociali, Terni è tutt’altro che una città assistenzialista: con una spesa di 143 euro per abitante, Terni è infatti al 61mo posto nella graduatoria nazionale, con standard prossimi a quelli di Genova, Asti, Treviso e Arezzo.
“Siamo in presenza di dati – ribadisce Raffaelli – che confermano come le città umbre non abbiano nulla da temere da un federalismo fiscale correttamente inteso, fondato cioè sui costi standard dei servizi e non sui trasferimenti assistenziali. Tanto Terni che Perugia escono dalle graduatorie sul costo del personale, sui servizi pubblici locali, sulla cultura e sulla assistenza sociale, come città d’eccellenza che garantiscono servizi di alta qualità ad una utenza molto estesa e con oneri decisamente contenuti.
Tutto questo sulla base di elementi di analisi recentissimi, quelli dei conti consuntivi del 2007, cioè dopo sei anni di stretta finanziaria ininterrotta e di ricorso a quote progressivamente sempre più alte di autofinanziamento da parte dei Comuni”.