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I militari della GdF sono solo l'avanguardia di un piccolo esercito che aspetta da tredici anni il famigerato "secondo pilastro" della riforma pensionistica: la previdenza integrativa

Sono tutti appartenenti alla Guardia di Finanza i 2.500 dipendenti statali che hanno presentato ricorso contro lo Stato, accusandolo di aver tradito le promesse e non aver garantito una pensione decente.
“Con la cosiddetta riforma Dini – ha spiegato l’avvocato Alessandro Tarducci dello studio legale di Firenze che assiste i ricorrenti – si è deciso il passaggio dal cosiddetto sistema retributivo al metodo contributivo, per tutti coloro che nel ’95 non avevano 18 anni di anzianità e per i nuovi assunti.

In breve, il calcolo della pensione viene effettuato non più tenendo conto della media delle retribuzioni percepite, ma è vincolato ai contributi versati nell’arco dell’intera vita lavorativa”. Questo “ha comportato una diminuzione delle pensioni per i dipendenti pubblici e privati anche del 40-50%.
Per ovviare a tale sensibile calo – ha aggiunto il legale – la riforma Dini aveva previsto che il divario economico determinato dal passaggio da un sistema all’altro venisse compensato attraverso una forma previdenziale aggiuntiva (previdenza complementare) comunemente conosciuta come il ‘secondo pilastro’ della riforma Dini.

La mancata applicazione di questo secondo pilastro ha provocato importanti diminuzioni economiche delle pensioni del pubblico impiego calcolate con il sistema contributivo.
Per questo i ricorrenti chiedono un ritorno al sistema di calcolo retributivo, almeno fino a quando il sistema di previdenza complementare non sarà completamente attuato.
Inoltre con il ricorso sarà chiesto di rimettere al vaglio della Corte costituzionale la legittimità della stessa legge.

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