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Le motivazioni con le quali la Umbra Olii ha chiesto il risarcimento danni alle famiglie dei quattro operai bruciati vivi merita di essere stampato, diffuso, letto nelle scuole, fatto leggere ai propri figli, appeso sui muri

Nel dicembre del 2006 a Campello sul Clitunno, in provincia di Spoleto, l’esplosione di un silos posto all’interno di uno stabilimento della Umbra Olii provocò la morte di quattro operai: Tullio Mocchini, Giuseppe Coletti, Wladimir Toder e Maurizio Manili.
Il giorno seguente l’amministratore delegato della società Umbra Olii fu iscritto nel registro degli indagati per disastro colposo, con l’aggravante della colpa con previsione dell’evento, violazione delle norme di sicurezza, omissione dolosa dei mezzi di prevenzione, omicidio colposo plurimo.
In sostanza Del Papa sapeva che nel silos c’era gas esplosivo ad alto potenziale, non aveva predisposto le misure necessarie di sicurezza, non aveva fornito lo stabilimento degli strumenti necessari a prevenire quello o altri incidenti. Poteva considerarsi, quindi, responsabile della morte dei quattro operai.

Oggi quello stesso Del Papa firma un atto legale nel quale la Umbra Olii chiede alle famiglie dei quattro operai morti un risarcimento di trentacinque milioni di euro per quanto accaduto a Campello sul Clitunno. Gli operai non avrebbero dovuto utilizzare in quel silos la saldatrice e di conseguenza, avendola usata, sono responsabili non solo delle loro morti, ma soprattutto degli ingenti danni procurati all’azienda.
Per quanto possa essere difficile da credere, la vicenda è davvero indicativa di quanto sta accadendo in Italia e nel mondo occidentale. Gli operai, secondo il perito della Umbra Olii, hanno commesso questo errore a causa della fretta e della stanchezza. Non si capisce come il perito possa aver inserito questo passaggio: sembrerebbe un lapsus messo lì proprio per riconfermare la responsabilità totale dell’azienda. Perché quegli operai avevano fretta? Perché erano tanto stanchi da perdere la lucidità commettendo un errore così disastroso?

Domande che potrebbero riaprire il dibattitto sulla catena degli appalti e dei subappalti. Una catena che costringe gli appaltatori ad accettare condizioni di lavoro (come i tempi di esecuzioni brevissimi) difficili da soddisfare, con i rischi conseguenti per la sicurezza dei lavoratori. Una catena che rende spesso difficile l’individuazione dei responsabili di eventuali illeciti: fino al paradosso della vittima che è anche il colpevole.
Il lavoro si prende le vite delle persone, si prende il loro tempo, si prende le loro energie, e infine si prende i loro corpi. Le iniziative legislative concertate dalla politica (trasversalmente) e dai poteri forti dell’economia (spesso con la colpevole complicità dei sindacati) vanno chiaramente nella direzione di autorizzare questa antropofagia da parte del mercato: per legge si tollera uno sfruttamento sempre più intensivo dei lavoratori, a fronte di un abbattimento delle tutele, di un depotenziamento dei salari e di una perdita complessiva di forza contrattuale da parte dei lavoratori.

Mentre alla ThyssenKrupp otto operai alla dodicesima ora di lavoro bruciavano, in Parlamento si approvava la detassazione degli straordinari. Norma ulteriormente approfondita e radicalizzata dall’attuale governo di centrodestra. E la Confindustria intanto, mentre nelle fabbriche della neopresidente Marcegaglia gli incidenti anche gravi si susseguono a ritmo inquietante, si ribella all’inasprimento delle sanzioni contro le aziende che non rispettano le norme sulla sicurezza.
La linea della Confindustria va tradotta in parole povere per capirne tutta la portata: meglio perdere qualche vita che rallentare la produzione, spendere in prevenzione o peggio ancora pagare multe allo Stato.

Ma non si capisce forse tutta l’infamia dell’atto legale intrapreso dalla Umbra Olii se non si vanno a leggere alcuni passi della richiesta di risarcimento firmata da Giorgio Del Papa. In quella lingua burocratica, goffa, fredda, orrenda come le cose che dice, vengono formulate delle atrocità, che se non fossero tragiche, e se non aprissero uno scorcio agghiacciante sulla nostra contemporaneità, farebbero quasi ridere.
Queste righe sono la sanzione in gergo avvocatesco del fatto che il valore dell’uomo e quello delle merci si misura con gli stessi strumenti. E non solo: che le merci, comunque la si metta, pesano di più, contano di più, valgono di più. E’ un testo, questo, che andrebbe stampato, diffuso, letto nelle scuole, fatto leggere ai propri figli, appeso su tutti i muri.

Ecco degli esempi: “Umbria Olii, pertanto, ha azione nei confronti sia dell’appaltatore [Manili, titolare della ditta appaltatrice morto insieme ai suoi tre dipendenti] che dei suoi dipendenti ed ora, poiché deceduti nell’evento, nei confronti dei loro eredi”.
Più sotto il documento dice che la ditta Manili Maurizio, “dopo un mese dall’evento calamitoso, risulta essere stata cancellata”.
Alla Umbra Olii la cancellazione di una ditta intestata ad un individuo dilaniato e carbonizzato in seguito ad un esplosione sembra soltanto un escamotage teso a frustrare le ragioni di Umbria Olii, la quale, pertanto, con il presente atto, intende agire nei riguardi della ditta Manili Maurizio e, in particolare, del suo titolare Manili Maurizio e, per esso, nei riguardi dei suoi eredi”.
Sì, è come sembra: la cancellazione della ditta intestata a un morto per la Umbra Olii è soltanto una scappatoia per non pagare i danni.

Di cavillo in cavillo, si giunge alla quantificazione dei danni. Ogni voce fa rabbrividire se si pensa che i “danni” subiti dalla controparte (le famiglie delle vittime) sono la perdita di quattro vite umane: 1.656.929, 66 euro “per la perdita di olio, sia quello bruciato che quello divenuto irrecuperabile per effetto del calore”; 101.920,00 euro per il “valore del box adibito ad ufficio pesa andato a fuoco insieme al capannone di stoccaggio”; 1.653.893,00 euro per il “valore dei silos in acciaio sia andati distrutti che rimasti danneggiati (e, per l’effetto, da sostituire)”.
Questi sono solo alcuni dei danni diretti lamentati dall’azienda. Più istruttivi ancora però forse risultano i danni indiretti: euro 19.504.313,00 per i “danni conseguenti alla forte limitazione dell’attività produttiva con conseguente abbattimento degli utili”.
Ecco la definizione esatta della morte nell’era del trionfo del liberismo: forte limitazione dell’attività produttiva con conseguente abbattimento degli utili.

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