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Presentato il volume dedicato allo scultore e curato da Deanna Mannaioli per la collana "Quaderni Marscianesi"

E’ stato presentato venerdì alla sala Capitini “Antonio Ranocchia e la sua terra”, libro curato da Deanna Mannaioli e pubblicato nella collana “Quaderni Marscianesi”.
Della figura dello scultore a cui è dedicato il volume hanno parlato il critico Antonio Carlo Ponti ed Enrica Frattigiani, autrice di una tesi di laurea sulla sua figura.
Nel corso della presentazione sono stati letti alcuni brani del libro da Federica Pieavanti della compagnia marscianese “Gli Scavalcamontagne”.
Di seguito pubblichiamo, per concessione dell’autrice, il racconto “La Pesca al Fiume”.

“Un giorno insieme a Mario Laura andai a pesca al Nestore. Era giugno, ma l’acqua era alta in alcuni punti, anche più di due metri. Il mio compagno era bravo perché la sua era una vecchia famiglia di pescatori e anche lui si dedicava sempre alla pesca.
Presi la rete e il cestello, ci incamminammo lungo il fiume e facemmo tanta strada a piedi prima di scendere in acqua, là dove il Nestore era più pescoso.
Prima di arrivare alla Morcella, ci spogliammo e ci immergemmo nel fiume.
Al primo impatto l’acqua era fresca e un brivido ci percorse tutte le membra, poi più nulla.
Camminammo per gettare la rete; Mario la teneva con esperienza e dirigeva tutte le operazioni mentre io scacciavo i pesci nascosti tra l’erba della sponda. La vegetazione era folta, sembrava un fiume africano in miniatura, almeno da come me l’immaginavo io, che non ero stato mai nel continente nero. Di pesce ce n’era a frotte! Solo con le braccia io riuscivo a scacciare dalle buche profonde la preda per noi preziosa; erano barzi, lasche, lucci, soprattutto barzi.
Arrivavo con le mani a prenderne anche cinque o sei, che subito infilavo nel cestello con grande soddisfazione.
Ero ormai molto pratico nello scovare i pesci; Mario mi diceva:”Sdoguazza, Ntunì, sdoguazza”. E intanto il cestello si colmava. Lo vuotammo a riva in un posto solo a noi noto… e via..ancora verso Morcella, verso Compignano.
Ricordo che la pelle della schiena bruciava e in una sola mattinata ero diventato color bronzo.
Quando, verso le tre del pomeriggio, decidemmo di smettere di pescare, uscimmo dall’acqua e ci incamminammo a piedi, attraverso i campi, per tornare da dove eravamo entrati nel fiume al mattino. Non oso descrivere il dolore ai piedi, resi così delicati, dopo tante ore di bagno, da sanguinare.
Avevo inoltre una fame da lupi che soddisfeci in un campo di cetrioli, di cui infine mi saziai. Come Dio volle, arrivammo al posto da cui eravamo partiti la mattina e ci rivestimmo.
Ero stanco da morire!! Il pesce era parecchio, così dovemmo sobbarcarci anche a una non lieve fatica, ma la vista di tutta quella preda ci rianimava.
Arrivammo a casa che era sera. Dividemmo il pesce e mia madre lo cucinò in padella. La cena fu squisita e tutta la stanchezza si tramutò in soddisfazione.
Restava solo il ricordo di una bella giornata dedicata alla pesca nel biondo Nestore.
A distanza di tempo ricordo ancora il sole cocente, il canto degli uccelli, l’aria afosa del mezzogiorno, i pesci che avevo catturato; li sento ancora guizzare nelle mani !
Quel cielo azzurro, che solo allora gustai, rimane impresso nei miei occhi come una visione d’ineguale bellezza!!”.

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