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Dal Diario di Faustino Fagiolo: nelle campagne di Marsciano per le persone c'era una sola cannella per paese, mentre per le bestie si prendeva quella del Nestore e si riempiva la “troscia”

La nostra famiglia era composta da 18 persone, e avevamo 18 vaccine e 40 maiali. Di acqua ne serviva tanta. In paese, a 150 metri da casa, c’era una cannella del comune. L’acqua si poteva usare solo per bere e fare da mangiare. Ma spesso la cannella non tirava e allora dovevamo andare ai pozzi. Ce n’erano due profondi 25 metri con la “chiovola” e la fune che ogni tanto ci voleva nuova perché era sempre in funzione. Si comprava a San Biagio della Valle dai funari e si pagava con quello che mettevano coloro che venivano a prendere l’acqua.
La mamma o la zia a noi ragazzetti ci diceva: “via fije andate a prendere l’acqua”. Quando il secchio veniva pieno non si poteva tirare su dal pozzo e allora alla fune ci attaccavamo in due oppure ci aiutava qualche adulto che era nelle vicinanze. Riempivamo due secchi di rame e poi uno alla volta lo portavamo a casa. Ma arrivati a casa di acqua nei secchi ce ne rimaneva poca. Così dovevamo fare un altro viaggio, specie se tutti tornavano dai campi a pranzo.

Quando gli uomini lavoravano lontano da casa era una donna che, con una canestra sulla testa, portava tutto l’occorrente per il pranzo giù al campo. Quando c’era da cuocere la minestra di acqua ce ne voleva parecchia perché la pignatta di coccio teneva trenta litri.
Prima di mangiare le mani si lavavano su una bacinella di rame piccola perché l’acqua non si poteva sciupare. Per questo alla fine l’asciugamano da bianco diventava nero, anche perché il sapone non si poteva comprare: si faceva in casa con un po’ di grasso e soda caustica, così come gli asciugamani che fatti col telaio erano molto ruvidi.
L’acqua della cannella veniva da sopra a Mercatello, da una fontanella tutta scoperta
. Poi con un tubo alimentava Mercatello e Spina, dove c’era una sola cannella per paese. Ma non avevamo bisogno soltanto di acqua potabile. In campagna ne serviva tanta. Da noi il pozzo non c’era perché il padrone non lo aveva voluto fare e così si doveva andare al Nestore con le vacche e i buoi con il carro e due fusti.

L’acqua per le bestie veniva messa dentro il “troscione”. Durante l’inverno si riempiva di acqua piovana e, quando pioveva forte, ci andava sempre un po’ di terra. E così era molto torbida. Con un secchio si tirava su nella “pila” grande per le vaccine mentre per i maiali si doveva portare con i secchi. Quando portavamo ad abbeverare le vaccine nella pila era anche l’occasione per lavarci perché in casa non si poteva. Ci asciugavamo alla meglio con una ballaccia. Questo “troscione” era molto grande, circa quattro metri per sette. L’estate, quando era asciutto, si doveva ripulire perché c’erano 40 centimetri di terra.

I grandi ci dicevano che la sera della vigilia di Natale le bestie parlavano: “Beato a chi mi ha governato”. Era lo zio che andava in cima alla stalla e diceva: “Sentite fije, ha parlato questa, poi quella, sentite ha parlato l’altra”. E noi a correre su e giù per la stalla. Poi si andava a cena. Era una festa perché le donne, per tradizione, facevano i maccheroni dolci e dopo cena veniva gente da lontano che erano parenti e amici per la messa di mezzanotte. Ma prima in una tavola lunga si giocava a tombola.
Di questi amici e parenti alcuni abitavano a due chilometri e altri a più di quattro. Venivano scalzi con le scarpe e le calze nelle mani per una strada che si chiamava carrabile perchè ci passavano tutti i contadini con i carri per tutti i lavori da fare.

Ci passava anche il dottore perché non aveva neanche la bicicletta
e quando doveva andare da un contadino lontano, lo venivano a prendere con il carro e le vacche. Ricordo bene che mettevano sopra il carro un lenzuolo pulito e un guanciale per far sedere il dottore.
Il mio babbo, mentre era nella stalla delle vaccine, prima che nascessi, aveva un figlio di cinque anni che si divertiva a muovere la paglia vicino alle zampe dei buoi. Ed è successo che uno ha sferrato un calcio nello stomaco di questo mio fratello che non ho mai conosciuto perché durante il giorno è morto chiamando sempre: “Papà, papà, io moio”.
Non sono potuti andare neanche a chiamare il dottore perché non avevano una bicicletta
.

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