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Dodici mesi fa avveniva una svolta epocale nella vita politica cittadina con la conquista dell'amministrazione da parte del centrodestra: viaggio in quel che è successo da allora ad oggi fra maggioranza e opposizione
antonino-ruggiano

Cominciò con un’ascesa trionfale verso Piazza del Popolo, salutata da caroselli d’ispirazione calcistica. E poi, tra applausi e slogan, il discorso improvvisato dal balcone dei palazzi comunali: basta con le bandiere rosse, largo al tricolore. Era l’11 giugno del 2007 e Antonino Ruggiano diventava il sindaco di Todi: il primo, nella storia repubblicana, a provenire da uno schieramento di centrodestra.
Un anno dopo, le elezioni amministrative di Todi si rivelano un laboratorio politico capace di mostrare in anticipo le reazioni chimiche in corso nel calderone della politica italiana. A Todi si avvertono i primi sintomi dell’inizio di una crisi e di un processo di ristrutturazione della sinistra (e della politica in genere) di cui all’epoca non si poteva ancora sospettare la portata.
A Todi si assiste ad un preludio dell’affermazione massiccia del centrodestra alle elezioni politiche del 2008, con un sensibile slittamento a destra che nel giugno 2007 si concretizza nel tricolore cerchiato dal nero della Fiamma di Mario Epifani, col suo clamoroso 6%.

Se c’è un nodo però sul quale Todi non ha anticipato i tempi, registrando anzi un ritardo di fase rispetto alla politica nazionale, quel nodo è stato il dialogo tra i due schieramenti. Il confronto si è sempre mantenuto su toni da campagna elettorale, aspri, a volte verbalmente violenti.
Tanto che mentre la logica dei blocchi contrapposti a livello nazionale si trasforma in un bipartitismo collaborativo, Todi sembra attardarsi in contrapposizioni frontali dalla forte impronta ideologica, che appaiono lontani dal modello di riconciliazione berlusconiano-veltroniana.
Un’atmosfera da guerra civile permanente favorita anche dal significato storico che la vittoria di Ruggiano ha assunto per entrambi gli schieramenti.

Per il centrodestra, che ha vissuto l’affermazione elettorale come un mandato di liberazione della città, come una missione epocale da compiere senza indugi, si tratta di un’occasione per rovesciare completamente rapporti di forza cristallizzati che sembravano destinati a durare in eterno.
Mentre il centrosinistra si è scoperto punito dagli elettori a causa di una gestione opaca e un po’ stanca dell’amministrazione negli ultimi anni, e forse ancora di più a causa delle forti tensioni che hanno attraversato una coalizione che, dopo aver più volte minacciato di dissolversi, si è ricompattata in una pace armata intorno alla candidatura “debole” di Alessandro Servoli.
Di lì, l’emorragia di voti che ha colpito la coalizione a causa del voto disgiunto proposto da una delle “correnti” storicamente più solide del centrosinistra, quella socialista, e quindi la paradossale condizione di un Consiglio comunale a maggioranza di centrosinistra guidato da una Giunta di destra con a capo il sindaco che esce vincitore dal ballottaggio, Antonino Ruggiano.
Nasce così la celebre questione dell’anatra zoppa, che ha fortemente condizionato fino a qualche mese fa tanto l’azione della Giunta quanto l’attività dell’opposizione.

Con la maggioranza in Consiglio, il centrosinistra dà l’impressione di poter tenere in pugno
Ruggiano con la minaccia della crisi e del commissariamento. Ma la linearità del quadro politico si complica a Todi già all’indomani delle elezioni.
La complicazione più eclatante è l’elezione a presidente del consiglio comunale di Floriano Pizzichini, socialista, che sale sullo scranno più alto del Consiglio grazie ai voti del centrodestra, scavalcando il candidato del centrosinistra, la giovane Romina Perni.
Intorno all’anatra zoppa durante i primi mesi della nuova Amministrazione i due schieramenti si fronteggiano come due pugili ad inizio ripresa: saltellano sul posto, scartano, fintano, magari mormorano qualche parola di ostilità, ma senza mai colpirsi seriamente.

Il centrodestra, impegnato a dare l’idea di vivere in una “Todi anno zero”, attraversata da una radicale rigenerazione e pronta ad una imminente rinascita, fatica in realtà a rompere il fiato e si scontra sempre con la questione numerica che non gli consente di esercitare il potere secondo l’impronta decisionista cui Ruggiano si sente legittimato dal clamoroso risultato dell’11 giugno.
Il centrosinistra invece, che deve riorganizzarsi dopo la batosta elettorale lungo le direttrici suggerite dal nuovo corso della politica nazionale (la nascita del Partito Democratico e il conflitto a basso profilo del modello veltroniano), temporeggia nella certezza di avere la forza necessaria per assestare a Ruggiano in qualunque momento la spallata decisiva.

E’ l’approvazione del bilancio prevista durante la seduta del Consiglio di aprile, l’episodio che divide nettamente in due fasi la storia dell’amministrazione Ruggiano.
Quel Consiglio comunale è il varco dietro il quale il centrosinistra attende Ruggiano per arrestarne la marcia. Ma, a sorpresa, quella del 17 aprile 2008 è una seduta che sancisce esattamente l’opposto: col suo voto favorevole, infatti, il presidente Pizzichini lascia il limbo politico nel quale aveva vissuto fino a quel momento e rende esplicito il suo appoggio all’amministrazione del centrodestra. Il centrosinistra reagisce infuriato, grida al tradimento, inscena un finto lancio di monetine metaforicamente indirizzate al nostrano epigono di Bettino Craxi.

Le conseguenze politiche di quel Consiglio comunale, che funziona da cesura per la storia politica recente della città, sono molteplici. In primo luogo, una rinnovata fiducia e solidità per l’amministrazione Ruggiano, che si scopre finalmente maggioranza a tutti gli effetti.
Ma si tratta di una solidità conquistata pagando un prezzo politico: perché dall’approvazione del bilancio in poi il centrodestra dovrà fare i conti con l’ingombrante presenza di un alleato “segreto” e politicamente scaltro, rappresentato da una parte della compagine socialista. Un elemento, quest’ultimo, che potrebbe inevitabilmente spostare il baricentro politico dello schieramento di governo, con una ridefinizione dei rapporti di forza che rischia di sbiadire la forte connotazione di destra-destra data alla coalizione dall’ottimo risultato di Fiamma.
Va ricordato a questo proposito che, poco prima della votazione sul bilancio, Fiamma Tricolore aveva perso il proprio assessore conseguentemente alle dimissioni di Bruno Bertini. Dimissioni arrivate ufficialmente per motivi personali, ma per le quali non si può escludere come movente un sotterraneo disagio politico interno.

Anche sul fronte del centrosinistra, l’approvazione del bilancio non ha mancato di sortire i suoi effetti. L’opposizione che prima era stata, se non ambigua, quantomeno generica e prevalentemente simbolica, si fa accanita e molto puntuale proprio in occasione della importante seduta del 17 aprile.
Le molte e circostanziate obiezioni dei consiglieri del centrosinistra restano senza risposta a causa della linea di resistenza passiva adottata dalla maggioranza.
Ma è soprattutto la protesta successiva alla seduta e gli attacchi frontali al “traditore” Pizzichini” a segnare l’accelerazione polemica impressa dal centrosinistra alla propria opposizione, che da quella sera è tale non più solo di nome ma anche di fatto.
La stessa accelerazione, conseguentemente, è richiesta anche al centrodestra e alla Giunta. L’attraversamento di Pizzichini ha fatto cadere molti alibi, e l’Amministrazione Ruggiano è chiamata a passare dalle parole del cambiamento ai fatti.

Dopo l’entusiasmo iniziale infatti, la luna di miele della Giunta Ruggiano con gli elettori si era già incagliata contro uno scoglio che alcuni hanno attribuito all’eredità del centrosinistra, ma che ha messo seriamente in difficoltà le capacità gestionali dei nuovi amministratori.
Si tratta delle nota vicenda delle cartelle Ici: un ordigno che esplode a ridosso delle vacanze natalizie, e che fa sorgere malumori anche all’interno della stessa maggioranza. Una vicenda per la quale lo scaricabarile non basta: se anche, e non potrebbe essere altrimenti, la responsabilità prima del provvedimento va attribuita alla Giunta Marini, gli impacci iniziali da parte dell’amministrazione in carica è stata avvertita dalla cittadinanza come un primo scivolone al quale solo lentamente si è potuto porre rimedio.

Questione, questa delle cartelle Ici, che ne contiene un’altra più grande e più delicata, che è quella della gestione urbanistica della città. Un settore, sul quale il centrodestra vuole misurare tutta la discontinuità rispetto alla precedente amministrazione. E sul quale la politica di Ruggiano ha rischiato un secondo momento di difficoltà. La sostituzione dell’architetto Franco Marini con l’architetto Michele Farabbi nel ruolo di responsabile dell’urbanistica vuole marcare subito una frattura netta in uno dei settori che erano stati nevralgici, nel bene e nel male, durante l’era Marini.
Ma l’urbanistica è un comparto storicamente scivoloso presso il Comune di Todi, a causa delle difficoltà di conciliare competenze tecniche avanzate e pesanti pressioni politico-economiche: e così anche recentemente si sono rincorse voci che parlavano di un nuovo avvicendamento alla guida dell’urbanistica.
Sotto il tiro dell’opposizione è finita anche la nomina del responsabile dell’Ufficio Tecnico, con l’arrivo dell’ingegner De Crescenzo duramente criticata dal centrosinistra.

Questi impacci e queste incertezze gettano delle ombre, seppur passeggere, sulle capacità tecnico-gestionali della squadra Ruggiano, messa più volte sotto accusa del Partito democratico per l’inadeguatezza della sua azione sul piano dell’amministrazione minuta o più strettamente tecnica (è anche il caso del contratto di quartiere di Ponte Rio, inizialmente in stallo per la mancanza di una direzione politica forte che servisse a superare le impasse burocratiche).
Impacci e incertezze che si scontrano con l’entusiasmo per altre iniziative dal forte impatto simbolico che invece hanno diffuso nella cittadinanza la percezione di una discontinuità decisiva rispetto al passato.
E’ il caso dell’illuminazione dei giardinetti, con le celeberrime spade-laser cadute in tempo record sotto i colpi dell’implacabile Mario Epifani, proprio nei primi giorni del cambio di “regime”: allo stesso modo in cui cadono le statue dei tiranni spodestati.
Ed è il caso, molto più sostanziale, del Festival, con la direzione affidata ad un personaggio, Maurizio Costanzo, in grado di assicurare un potente richiamo mediatico: un segnale di intraprendenza e dinamismo da parte della nuova amministrazione, un “colpaccio” portato a segno proprio su un terreno molto caro alla cittadinanza e sul quale si era dibattuto a lungo durante le amministrazioni Marini, a causa soprattutto della gestione “salottiera” da parte di Simona Marchini.

Un anno dovrebbe bastare ad esaurire la spinta propulsiva dell’entusiasmo e della curiosità per il nuovo. Di qui in avanti l’Amministrazione Ruggiano sarà chiamata a riempire di contenuti (anche di contenuti politici) la propria azione per sostanziare quel cambiamento a cui troppo spesso in politica ci si appella in termini generici.
Un anno dovrebbe bastare (ma il condizionale è d’obbligo) a smaltire le tossine della campagna elettorale e a mettere le compagini politiche, ognuna al proprio posto, di fronte alla necessità di lavorare e di affrontare i problemi decisivi.
Soprattutto in un momento di evidente crisi della politica, di sfiducia nella funzione del politico e di generale ostilità verso chi esercita questo “mestiere”, è decisivo il ruolo delle amministrazioni locali che lavorano in condizioni di prossimità rispetto ai cittadini.
Gli amministratori ed i politici di base sono chiamati a ricostruire dal basso una fiducia nella rappresentanza e a tessere una nuova rete di relazioni tra gli individui e il potere, per provare a ricostituire quella percezione di democraticità che si è notevolmente appannata in questi ultimi anni.

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