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Osservazioni critiche da parte di Sindacati e Gestori dei nidi privati

Ammonta a circa quattro milioni di euro la somma stanziata dall’assessorato regionale dell’Umbria all’istruzione e al sistema formativo in attuazione del piano straordinario per l’ampliamento dei nidi e dei servizi socio-educativi per la prima infanzia.
L’intenzione è di ampliare il sistema dei servizi pubblici e privati di concerto con tutti i soggetti della rete, sollecitando anche le risorse sociali e le famiglie nell’ottica del principio di sussidiarietà per venire incontro alle esigenze dei genitori, limitare al massimo le liste d’attesa nei servizi pubblici e ridurre i costi delle rette.
Ma il Piano triennale sui servizi socio-educativi per la prima infanzia proposto dalla Giunta regionale dell’Umbria “non risponde adeguatamente nè in termini quantitativi nè qualitativi al reale bisogno dei bambini e delle bambine e dei loro genitori”. Lo sostengono la Cgil regionale, la Fp-Cgil e la Flc-Cgil dell’Umbria che sollecitano, attraverso il Piano triennale, correttivi alla legge regionale 30/05.

In particolare il sindacato confederale e le categorie del pubblico impiego e della scuola evidenziano – in una nota – quattro questioni.
Il primo problema riguarda “la mancata volontà di concordare tra Regione e Comuni una linea di indirizzo chiara per la pianificazione dell’offerta socio-educativa dei territori”. La Cgil fa notare infatti che nel 2006 (dati Aur) soltanto 29 dei 92 comuni umbri erogavano il servizio asilo nido e nel piano si evidenzia un leggero aumento, da 29 a 36.
“Inoltre il tasso di ‘dotazione strutturale’ in Umbria, ovvero il rapporto tra posti disponibili e numero di bambini e bambine da 0 a 3 anni per comune, è mediamente pari al 13,6%, con una forte variabile tra territori (l’Ue lo vuole al 33% entro il 2010)”.

La seconda questione è relativa alla mancanza di una “risposta pubblica coordinata alla complessità dei bisogni dell’infanzia”.  C’è poi il problema della mancanza delle procedure per l’accreditamento delle strutture, passaggio necessario per ottenere i finanziamenti pubblici.
Infine – secondo la Cgil – “manca un’applicazione univoca, nella legge e nel Piano triennale, del riconoscimento pieno dei profili professionali maturati, così come un investimento sul futuro, in titoli di studio altamente qualificati con lo scopo di dare certezza e riconoscimento al ruolo degli educatori professionali o educatori animatori e delle equipe multifunzionali”.

Secondo i titolari degli asili privati sono, invece, troppo rigidi i parametri della legge regionale. Hanno chiesto di cambiarli, anche per evitare la chiusura di molti servizi ed il forte aumento delle rette a carico delle famiglie.
Secondo i titolari delle strutture private per la prima infanzia, gli obblighi che potrebbero causare difficoltà sono soprattutto quelli a garantire i nove metri quadrati e mezzo a disposizione di ogni bambino ed a dotarsi di una cucina interna per chi ha ospiti di meno di un anno. 
Troppo costosa, per i privati anche la figura obbligatoria del coordinatore pedagogico, mentre, in tema di titoli professionali, qualche problema è stato evidenziato pure sull’obbligo della laurea, anche se la legge prevede corsi di riqualificazione per chi possiede solo il vecchio diploma di insegnante.

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