Condividi su facebook
Condividi su twitter
La produzione dell'etanolo da colture agricole determina un incremento delle emissioni di biossido di carbonio, aggravando ulteriormente gli effetti del riscaldamento globale

Le emissioni gassose prodotte dall’utilizzo di etanolo sono più dannose per l’atmosfera di quelle prodotte dai derivati del petrolio. Lo hanno accertato due studi indipendenti pubblicati negli Usa sulla rivista Science. Uno dei due studi, condotto da ricercatori della Princeton University e dalla Iowa State University, ha concluso che negli ultimi 30 anni l’uso dell’etanolo come carburante ha prodotto un tasso di ‘global-warming’ due volte superiore a quello prodotto da benzina o gasolio.

Convertire i terreni in colture per la produzione di biocarburanti determina un incremento delle emissioni di biossido di carbonio, aggravando ulteriormente gli effetti del riscaldamento globale. A sostenere questa tesi è un nuovo studio di Nature Conservancy, organizzazione internazionale per la protezione dell’ambiente. “La quantità di carbonio disperso nell’atmosfera attraverso questo tipo di utilizzo di boschi, pascoli e torbiere supera quella risparmiata consumando propellenti derivati dalle biomasse al posto dei combustibili fossili”, afferma Joe Fargione, autore dello studio.
Secondo Nature Conservancy, dunque, utilizzare i biocarburanti come alternativa al petrolio alla fine risulta molto svantaggioso da un punto di vista ambientale
“In Indonesia, per esempio, la trasformazione delle torbiere in piantagioni di olio di palma ha determinato una delle più grandi perdite di carbonio mai registrata, seguita da quelle delle foreste amazzoniche in campi di soia. I danni all’habitat sono enormi e la richiesta crescente di biocarburanti sta causando la riconversione di aree sempre più vaste di terreno agricolo in tutto il mondo, dagli Stati Uniti al Brasile, all’Asia. Ma continuando in questo modo la cura si rivelerà molto peggiore della malattia”.
Nel caso in cui si sostituisca un ecosistema preesistente per convertirlo ad esempio a canna da zucchero o palma da olio, da cui si ricavano rispettivamente etanolo e biodiesel, si produce da 17 a 420 volte più gas serra di quelli che si avrebbero bruciando i corrispondenti combustibili fossili.

La ricerca di Nature Conservancy allarga ulteriormente la spaccatura tra chi promuove l’utilità di queste nuovi fonti energetiche e chi le ritiene ancora più dannose dell’oro nero.
Già lo scorso aprile la Società dell’industria chimica (Sci), società internazionale con sede a Londra, aveva sostenuto che i biocarburanti non solo non riducono l’apporto di gas serra nell’atmosfera ma, a causa degli effetti determinati dalle fasi di produzione, ne aumentano ulteriormente le emissioni.
Un j’accuse che ridimensionava gli entusiasmi di chi vedeva in questi composti una soluzione ottimale contro l’inquinamento. Del resto proprio su “Science” – che oggi rende note le posizioni di Nature Conservancy – erano apparsi studi che valutavano l’etanolo come risorsa di grande efficacia dal punto di vista energetico. E lo scorso giugno una ricerca pubblicata su “Nature” aveva attribuito molto interesse ai procedimenti per trasformare lo zucchero derivato da biomasse nel 2,3 dimetilfurano (Dmf), un carburante liquido potenzialmente simile al petrolio (Dmf, meglio dell’etanolo).

A promuovere ulteriormente i biocarburanti, infine, era stata anche l’UE. La Commissione Europea, infatti, si è detta intenzionata a incrementarne la quota fino al 10% entro il 2020 e, a tale scopo, ha esortato tutti i paesi membri alla ricezione di un pacchetto di misure in materia di nuove politiche energetiche.
L’Italia, a sua volta, adottando una precedente direttiva comunitaria del 2005, ha già fissato di sostituire almeno il 2% del totale di benzina e diesel, ma praticamente non ha poi dato seguito alla cosa per contrasti tra i produttori.
Malgrado tali input, però, una buona parte della comunità scientifica ha sempre manifestato scetticismo nei confronti di queste strategie.
Se fino a ora le perplessità sono state legate principalmente alla valutazione degli impatti della conversione dei terreni agricoli sulle riserve di cibo adesso, invece, si arriva a sostenere la pericolosità di questi processi proprio sul fronte della produzione di carbonio.

Uno scontro a tutto campo, dunque, che potrebbe rilanciare le posizioni di chi sostiene la necessità di produrre sì i biocarburanti, ma in modo non agricolo.
Da poco è stato dimostrato, per esempio, che le termiti possono degradare la cellulosa del legno trasformandola in etanolo. E proprio in Italia sono disponibili tecnologie di smaltimento dei rifiuti in grado di trasformare la spazzatura in biocarburante liquido.
Soluzioni per ora ancora allo stato prodromico, ma che potrebbero rappresentare in futuro una possibile quadratura del cerchio.

condividi su:

Condividi su facebook
Condividi su twitter