L’Agenzia nazionale per l’ambiente (APAT) ha lanciato un allarme. In Italia siamo troppo “innamorati” della chimica e della fisica, anche quando si devono fare esami sull’ambiente.
Di questo “avviso” è augurabile che ci si ricordi anche quando si dovranno affrontare radicalmente una serie di questioni che ci sono o che incombono sul territorio umbro ed anche della media valle del Tevere.
Le prove sugli organismi viventi potrebbero offrire un fondamentale apporto alla tutela dell’ambiente. Tuttavia in Italia il biomonitoraggio e l’ecotossicologia (lo studio degli effetti tossici dell’inquinamento sugli organismi) non sono stati ancora inseriti a pieno titolo nella normativa ambientale, nonostante rappresentino due risorse fondamentali per comprendere gli effetti di un qualsiasi cambiamento sui nostri ecosistemi, sulle comunità e le specie.
Le indagini chimiche e fisiche sono quelle tradizionalmente utilizzate per fornire dati relativi alla qualità dell’ambiente e giocano ancora oggi un ruolo fondamentale nei monitoraggi.
Tuttavia, anche i bioindicatori rappresentano un mezzo diagnostico indispensabile e sono quanto mai fondamentali in un Paese come l’Italia, che non ha eguali in Europa per diversità di ambienti e numero di specie.
Non solo: il nostro Paese è anche all’avanguardia nello sviluppo di determinazioni biologiche sugli effetti di sostanze tossiche su suolo, aria e acqua. Viene, quindi, da chiedersi chi e perché fino ad ora non ha inserito la biologia a pieno titolo fra gli strumenti ufficiali di monitoraggio.
Eppure sono già numerosi gli ambiti nei quali si utilizza il biomonitoraggio. Allo stesso tempo l’ecotossicologia è una delle fondamentali discipline nell’analisi di fiumi, mari, laghi e scarichi.
Nel caso delle analisi del suolo, la qualità biologica di un terreno è data proprio dalla presenza di determinati organismi viventi nel campione osservato.
Quanto, invece, all’anidride solforosa (SO2) presente nelle città e negli ambienti extraurbani, lo studio dei licheni può dare interessanti informazioni ambientali. Così come le foglie di tabacco per l’ozono o gli aghi di pino e le foglie di leccio per i metalli pesanti e le diossine.
I muschi, invece, sono particolarmente utilizzati per valutare la situazione di una determinata area prima dell’entrata in funzione di grossi impianti e per seguirne il decorso nel tempo. Costituiscono un bioindicatore importante per valutare la qualità dell’aria e le ricadute al suolo di metalli pesanti, radionuclidi, diossine, idrocarburi policiclici aromatici e altri contaminanti persistenti.