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La maestra Fernanda Meattelli, classe 1911, racconta la sua vita intensa trascorsa tra San Venanzo e Orvieto ma anche ad Atene, Costantinopoli, Tunisi e Tripoli

“A voi la scelta: o ci consegnate le armi oppure faremo saltare in aria San Venanzo”, ringhiò con parole metalliche il comandante tedesco. Ma il maresciallo dei carabinieri non si mosse di un millimetro e rispose risoluto: “Non possiamo. Lo sa anche lei. Le nostre sono le armi dell’esercito italiano, e dunque non possono essere consegnate a nessun altro militare”.
Sarà stata l’avanzata degli inglesi che risalivano il monte Peglia dalla Colonnetta oppure le parole coraggiose del maresciallo, fatto sta che la minaccia di far saltare in aria San Venanzo fu scongiurata ed i tedeschi proseguirono la ritirata verso Marsciano.
“Mia sorella scrisse quanto successe in un diario che però, a guerra finita, preferimmo distruggere. Capisco che oggi sarebbe stato importante poterlo leggere”.
Fernanda Meattelli scuote la testa, piena di capelli bianchi, quando sono passate già un paio d’ore dall’inizio del suo racconto. C’è un aria straniante eppure normalissima nel salotto dove il racconto prosegue con piacere, interrotto solo dalle gentili richieste di un caffè o di un cioccolatino rivolte dalla bionda signora che si prende cura di lei.
All’ombra del Duomo, in una palazzina di via Postierla, ad Orvieto, Fernanda Meattelli ci vive dal dopoguerra. È nata nel 1911 a San Venanzo, figlia del sor Zeno Meattelli, il fattore di Spante dei conti Faina. Sua madre era Agata Valentini, figlia di Scipione, una delle più antiche famiglie di San Venanzo che qui vivevano sin dal Seicento.
San Venanzo e Orvieto, dunque, ma anche Atene, Costantinopoli, Tunisi, Tripoli. Sì, perché nella sua lunga vita Fernanda ha conosciuto più città. “Frequentai l’istituto magistrale a Perugia. Mi padre era sì il fattore dei Faina, tuttavia aveva tre figli da mandare a scuola e questo era costoso anche per la nostra famiglia. Così decisi appena abilitata maestra, di andare ad insegnare. Entrare a lavorare nella scuola statale era difficile e allora dissi a mio padre che volevo insegnare nelle scuole rurali Faina. E lui, incredulo, mi rispose “Ma Fernanda, vuoi andare in mezzo ai contadini?”. “Cosa c’è di male”, gli replicai. In fondo quando noi eravamo più piccoli con chi giocavamo se non con i bambini dei contadini? Alla fine mio padre acconsentì e mi affidarono la scuola rurale Faina di San Marino”. Erano scuole pratiche, ricorda Fernanda, dove bisognava spiegare agli alunni le cose essenziali perché divenissero bravi contadini.
Passa qualche anno e c’è una svolta. Ad Orvieto il regime apre nel complesso di San Domenico la Smef, Scuola di educazione fisica, per formare gli insegnanti di attività fisica per le scuole superiori. “Mi iscrissi subito. Ci insegnavano gli esercizi e vari sport. Imparai anche a sciare a San Martino di Castrozza, sulle Alpi”, dice sfogliando un album fotografico dalla spessa copertina marrone. “Una volta specializzata in educazione fisica, iniziai a lavorare per l’Opera Nazionale Balilla”.
“Ero una piuttosto dura, determinata. Così venivo sempre chiamata per le esibizioni che venivano organizzate in tante città”. Il tavolinetto pieno di foto parlano da sole: Festa della Ginnastica di Tunisi, a Tripoli, Genova, Torino… “Pensi, una volta guidai un saggio davanti a Mussolini”. A Mussolini? “Sì, di fronte al Duce in persona. Eravamo a Roma, in piazza di Siena. Il cuore mi batteva fortissimo”.
La luce ora penetra dalle finestre socchiuse per allontanare il caldo di agosto ed illumina il salotto. La badante arriva con un vassoio di biscotti secchi. “Conoscevo benissimo anche Renato Ricci, il capo dell’Opera Balilla. Veniva spesso ad Orvieto per visitare la Smef. Spesso ero fuori per le esibizioni: ricordo Tunisi, una città molto bella, e Tripoli. Nell’albergo dove restammo alcuni giorni a Tripoli vidi Italo Balbo, che all’epoca era Governatore Generale della Libia”.
Con lo scoppio della seconda guerra mondiale le cose cambiano. Come un potente vortice che tutto ingloba, la guerra crea sofferenza, ma a volte incrocia i destini, fa nascere nuovi amori e può cambiare la vita di una persona.
“Dopo l’annessione italiana della Grecia, si erano verificati dei problemi tra gli italiani lì presenti ed i tedeschi. Per cercare di contenere la grande miseria che c’era ad Atene, l’Opera Balilla aveva deciso l’invio di piroscafi carichi di generi alimentari. Per sorvegliare sull’arrivo degli aiuti fui mandata anche io. Ricordo bene la sofferenza che c’era nelle strade di Atene. “Pinao, pinao”, si sentiva ripetere, “ho fame, ho fame”. Anche la prepotenza dei tedeschi me la ricordo bene: io avevo un pass col quale potevo fermare le auto e salire a bordo per spostarmi da una parte all’altra della città. Una volta preferii far salire una donna con un bambino in braccio al posto mio. Ma un ufficiale tedesco che era in auto cominciò a gridare di no, impedendo alla donna di entrare. L’autista, che era greco, non sapeva cosa fare, allora il tedesco gli diede uno schiaffo. Io non mi contenei più e iniziai ad alzare la voce dicendo che ero una cittadina italiana. Alla fine la spuntai io: la donna col bambino salirono sulla macchina”.
Ad Atene Fernanda conobbe anche il suo futuro marito. L’ingegnere Alfredo Caivano era nato nel 1913 a Costantinopoli. Suo padre, anch’egli ingegnere, era arrivato nella capitale turca dal sud Italia, al seguito di una società inglese incaricata della costruzione della strada tra Atene e Costantinopoli. Lì aveva sposato una donna greca, ed erano nati quattro figli, tra cui Alfredo.
Fernanda lo conobbe all’aeroporto di Atene. “Stava parlando con il console italiano, per il quale aveva eseguito dei lavori. Dopo avermi visto, chiese al console notizie su di me. Più tardi si fece avanti e mi chiese chi fossi. “E a lei cosa le importa?”, risposi continuando a mettere a posto le mie cose. Poi cominciammo a frequentarci, mi fece conoscere le sue sorelle e alla fine ci fidanzammo. Nel 1942 ci sposammo nella cappella Kipsely, ad Atene, e andammo a vivere nella casa di Alfredo in via Bucarest”.
Dopo la guerra Fernanda ha continuato ad insegnare educazione fisica nelle scuole superiori di Orvieto, fino al pensionamento. Da allora vive nella sua casa di via Postierla, dove i ricordi di una vita densa di emozioni si affastellano e dove a colui che li ascolta piace farsene raccontare uno ad uno.

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