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In Umbria i negozi registrano una mortalità del 40%, con i sostegni economici della Regione che sono stati finora inconsistenti

Con riferimento al recente disegno di legge regionale per il rilancio economico dei centri storici mi permetto di esprimere alcune considerazioni. Sicuramente buone le “intenzioni” della nuova legge e anche le idee, in particolare quella di favorire e regolamentare la creazione dei così detti centri commerciali naturali, di cui si parla da tanto tempo, ma che gli operatori interessati, anche perchè economicamente depressi e sfiduciati, non sono riusciti a realizzare spontaneamente, tranne casi sporadici.
Però, le buone intenzioni, se non supportate da un concreto sostegno finanziario, rimangono “parole”, come sono rimaste, in genere, belle parole quelle scritte nella legge 114/98 e nella legge regionale 24/99 riguardanti la “valorizzazione dei centri storici”. Chi ha visto, infatti, le “agevolazioni tributarie” (Ici, Tarsu) e i “sostegni finanziari”? Il risultato è stato, come emerso sulla stampa, un “tasso di mortalità” del 40% delle attività nei centri storici!
Porto degli esempi concreti della evanescenza del sostegno a tali attività. Nel 2001 venne pubblicato in Umbria un bando per la “riqualificazione delle attività commerciali nei centri urbani, nelle periferie e nelle aree rurali e montane”, che prevedeva contributi del 25-30% per ristrutturazione o ampliamento di immobili e acquisto di beni strumentali, con precedenza per i centri storici.
Dalla graduatoria risultò che, su 443 domande ammesse, per tutta la regione, ne vennero finanziate solo 48 (una richiesta ogni due comuni, per un contributo complessivo di lire 1.755.200.000). Per gli altri 395 richiedenti (l’89%) il bando si risolse in una beffa in quanto ci rimisero anche qualche centinaio di mila lire per fare la domanda.
Analogo risultato hanno avuto altri bandi successivi. Cito quello pubblicato nel maggio 2002: 36 richieste finanziate (circa una ogni tre comuni). Ecco come viene “aiutato” il piccolo commercio e in particolare quello dei centri storici, che è il più penalizzato per mancanza di parcheggi, le sempre maggiori limitazioni all’accesso veicolare e la sempre maggiore propensione dei Comuni ad istituire ZTL, come ha tentato di fare anche quello di Marsciano per la parte più antica del centro storico, ma che poi ha dovuto fare marcia indietro a furor di popolo (700 firme), residenti compresi.
Allora io dico: non ritorniamo a fare una legge di “belle parole”. Le nozze non si fanno con i funghi e il problema non si può risolvere, come suggerisce qualche assessore, invitando i piccoli commercianti ad “investire” nell’ammodernamento dei propri esercizi e addirittura nell’intrattenimento per il pubblico (sic!), in quanto, se il 40% delle attività sono già chiuse, almeno altrettante sono “moriture” e pretendere di tirar fuori dei soldi da queste è come voler tirare fuori il sangue da una rapa!
E questo, magari da quegli stessi assessori che sono stati fautori della proliferazione “selvaggia” della grande distribuzione che, con la pratica delle vendite “sotto-costo”, persegue una politica monopolistica tendente ad eliminare dal mercato la rete distributiva tradizionale, in contrasto con la legge Bersani che ne prevedeva, invece, non solo la tutela, ma il rilancio per le sue funzioni di servizio di vicinato e di aggregazione, in specie nei centri storici e nei piccoli paesi.
La posta in gioco è chiara: eliminare le migliaia di piccoli negozi ancora superstiti che, se anche ridimensionati ed indeboliti, controllano ancora una “interessante” porzione di mercato e realizzare così un oligopolio, fatto di poche grandi imprese, le quali, poi, come ben sappiamo, “fanno cartello” e da quel momento le condizioni le detteranno loro, sulla pelle dei consumatori, sia per la qualità che per i prezzi, e con i centri storici desertificati.
E’ per questo che la legge Bersani prevede un sistema misto, in quanto l’interesse dei consumatori e della società civile possono essere tutelati solo da una pluralità ed eterogeneità di operatori. Da qui, la necessità di rilanciare, ammodernare e potenziare la rete distributiva tradizionale e in particolare nei centri storici, borgate e piccoli centri. Per questo, però, ci vuole un sostegno concreto e adeguato e non parole di circostanza.
I soldi si possono trovare e ci sono: basta stornare una parte di quelli destinati agli agriturismi et similia! Sono decenni, infatti, che a questo settore vengono elargite a piene mani centinaia di milioni a fondo perduto, tanto che oggi tali strutture sono talmente sovrabbondanti che vengono utilizzate appena per il 30%. Ne consegue che, spesso, questi fondi pubblici servono a dei furbi per farsi delle belle “case di campagna”, dove si trasferiscono, o comunque abitazioni plurime per sè e le proprie generazioni future, che oggi si chiamano Contry House o Bed and Breakfast e domani, all’occorrenza, potranno diventare abitazioni.
Pertanto, sarebbe più giusto che una parte cospicua di questi fondi, ancora destinati a strutture dormienti, venga dirottata verso il settore del commercio tradizionale ed in particolare dei centri storici e delle piccole frazioni, se vogliamo veramente ridare vita alle città e non vedere sempre più saracinesche abbassate.

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