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In Umbria, ad ottobre, è annunciata una manifestazione promossa dai sindacati contro i ritardi nell'assistenza ai non autosufficienti

I pensionati italiani, soprattutto quelli con gli assegni mensili più bassi e quelli che hanno bisogno di assistenza, sono “infuriati”.
L’assegno “una tantum” che stanno per ricevere è motivo in più per sentirsi presi in giro.
L’insipienza della politica, che si autoassegnata un aumento mensile delle retribuzione dei parlamentari pari all’aumento annuo dei pensionati
e con ciò ha perso un’occasione per fare una bella figura di cui dovrebbe avere bisogno, sembra tuttavia possa essere controbattuta dalle organizzazioni sindacali, forse più in grado di intercettare l’umore delle “pantere grigie“.
Così almeno accade in Umbria, regione nella quale le organizzazioni sindacali si mobilitano e minacciano manifestazioni.
 “A tutt’oggi – dopo un avvio positivo che ha visto in marzo le firme dell’ “Accordo sul bilancio regionale 2007” nel quale si individuava nella costituzione del Fondo per la non-autosufficienza una delle priorità congiuntamente ad un primo stanziamento di 7,5 milioni di euro (cifra ancora insufficiente ma un segnale d’attenzione) – constatiamo, come già sottolineato dal comunicato stampa di Cgil, Cisl, Uil e SPI FNP UILP del 2 agosto 2007, che lo stesso si è arenato, per evidenti responsabilità della Giunta regionale che sino ad ora non è stata in grado di presentare un progetto condiviso, con ritardi non più giustificabili per le migliaia di famiglie che attendo urgentemente una risposta concreta ai loro bisogni.”
Gli atteggiamenti da parte della Regione e i ritardi denunciati hanno quindi indotto le organizzazioni sindacali a proclamare una giornata di mobilitazione regionale “delle pensionate e dei pensionati, delle anziane e degli anziani, delle donne e degli uomini, convinti che se la non autosufficienza nelle nostre Regione riguarda per ora 14 mila non-autosufficienti e le loro famiglie, nel futuro prossimo il dato è destinato ad aumentare, coinvolgendo adulti e giovani, migliaia di donne che svolgono lavoro di cura presso le nostre famiglie, spesso irregolari e con diritti negati”.

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