Ci sarebbero anche i “drogati” dal lavoro. Lo sostiene un recente saggio “Psicologia della dipendenza da lavoro” di Giocchino Lavanco e Anna Milio.
Cominciano a non frequentare più gli amici, a trascurare la famiglia. Dedicano alla loro attività sempre più tempo e ne sono attratti in modo compulsivo.
Quando possono farlo, provano piacere; quando non possono, manifestano i tratti dell’astinenza.
Poche righe bastano per descrivere sommariamente una persona schiavizzata dalla dipendenza, sia essa dovuta a una sostanza, come nel caso dei fumatori o dei tossicodipendenti, sia essa prodotta da un oggetto o da un’attività, come il gioco d’azzardo, lo shopping compulsivo o addirittura il lavoro.
Si tratterebbe di una delle cosiddette «nuove dipendenze», in cui l’individuo diventa prigioniero di un comportamento legale e socialmente accettato, anzi spesso incoraggiato, tant’è che anche in questo campo si potrebbe parlare di spaccio e spacciatori.
Si parla anche di “dipendenze senza sostanze”, se si eccettua il rilascio di adrenalina che avviene nell’organismo della persona che si dedica al comportamento abusante.
In effetti siamo abituati a considerare il lavoro come una dolorosa necessità, un’attività a cui dedicare il tempo strettamente indispensabile.
Eppure proprio la professione può diventare il terreno, a volte l’unico, dove si può manifestare il bisogno ossessivo di eccellere e di ottenere approvazione, anzi quasi di guadagnarsi il diritto di esistere, tanto che alcuni parlano di una “dipendenza di elezione degli indegni”.
- Redazione
- 20 Agosto 2007
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